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giovedì 15 giugno 2017

ANTOLOGIA BRONTËANA VI a cura della professoressa Maddalena De Leo


Un mio racconto è contenuto nella presente antologia: 



Ho partecipato con il seguente testo:
Branwell Brontë
 
Io, Patrick Branwell Brontë apparii sulla scena terrena il 26 giugno 1817 e la abbandonai il 24 settembre 1848. Fui un pittore e scrittore inglese, unico figlio maschio della famiglia Brontë  e fratello delle scrittrici Charlotte, Emily e Anne. Ero il quarto dei sei figli di   Patrick Brontë (1777-1861) e di sua moglie Maria (1783-1821).  
Nacqui a Thornton, nei pressi di Bradford, Western Riding of Yorkshire, e mi trasferii in seguito, con la famiglia, a   Haworh, quando mio padre fu nominato alla curazia perpetua nel 1821. Fui rigorosamente istruito in casa da mio padre, e condivisi gran parte del talento creativo con le mie sorelle, ottenendo qualche soddisfazione per le mie poesie e traduzioni dai classici. Alla deriva tra posti di lavoro precari, mi mantenni dipingendo ritratti, divenendo però dipendente da droga e alcolici che - aggravato moralmente anche da una mia fallita relazione con una donna sposata - mi condussero a prematura morte.
Vi racconto qualcosa della mia vita, in modo più dettagliato.
Mentre quattro delle mie cinque sorelle furono inviate presso il collegio di Cowan Bridgeio fui educato a casa, come dicevo, da mio padre, che m’istruì con una formazione classica. Elizabeth Gaskell, biografa di Charlotte, scrivendo riguardo ai miei studi riferì: "amici del signor Brontë gli consigliarono di mandare suo figlio a scuola ma, ricordando la forza di volontà propria dei giovani, e il modo in cui la impiegavano, pensò fosse bene, per Branwell, rimanere in casa, certo che egli stesso avrebbe potuto istruirlo nel modo migliore”.  Le mie due sorelle maggiori morirono, poco prima del mio ottavo compleanno, nel 1825, e la loro perdita, mi colpì nel profondo. Fin da piccolo, amai la lettura, e fui particolarmente affezionato alla “Noctes Ambrosianae”, dialoghi letterari che pubblicai nel "Branwell's Blackwood's Magazine”.
Rivestii il ruolo di leadership con Charlotte, in una serie di giochi di fantasia, che noi fratelli scrivemmo e mettemmo in pratica, e che titolammo “Young Men”. Erano personaggi creati su un gruppo di soldatini di legno. I giochi si evolsero in un’intricata saga, ambientata in Africa occidentale, nella fantastica confederazione di GlasstownDal 1834, collaborai, gareggiando con mia sorella Charlotte, nel descrivere un altro mondo immaginario, Angria.   Questi scritti impressionarono per la portata del loro virtuosismo, ma ammetto che furono anche ripetitivi rispetto ai contributi di Charlotte. A undici anni, nel gennaio 1829, iniziai a produrre la rivista citata poc'anzi, che comprendeva le mie poesie, opere teatrali, critiche, storie e dialoghi.  A differenza delle mie sorelle, non fui preparato per una carriera specifica.  Nel mio unico vero tentativo di trovare lavoro, alla morte di James Hogg, scrittore di Blackwood, a soli diciotto anni, mi feci coraggio e scrissi alla rivista, proponendo me stesso quale sostituto.  Tra il 1835 e il 1842 scrissi ben sei volte al Blackwood's Magazine, inviando poesie e offrendo i miei servizi, esprimendomi però con tono arrogante. Lo so, sbagliai, ma quel modo faceva parte del mio carattere. Le mie lettere rimasero, ovviamente, inevase. Iniziai a frequentare compagnie maschili nei pub a Haworth, e nel febbraio 1836 mi unii alla loggia massonica delle Tre Grazie.
Da giovane, seguii un corso di pittura presso il ritrattista William Robinson.  Nel 1834, a soli diciassette anni, dipinsi un ritratto che raffigurava le mie tre sorelle. Inclusi la mia stessa immagine ma, insoddisfatto del risultato, e preso da un eccesso d’ira, come spesso mi accadeva, decisi di rimuoverla. Questo quadro è oggi una delle immagini più famose e preziose delle mie sorelle, e si può ammirare nella National Portrait Gallery. 
Nel 1835 scrissi una lettera alla Royal Academy of Arts, chiedendone l’ammissione. Biografi precedenti segnalarono un mio trasferimento a Londra, per studiare pittura, ma smisi rapidamente il corso, a causa delle eccessive spese sostenute per l’acquisto di bevande alcoliche. Altri biografi hanno ipotizzato che ero troppo intimidito dall’idea di presentarmi all'Accademia. Li lascio credere a ciò che vogliono, non posso certo modificare il loro pensiero. Solo io ero a conoscenza dei miei problemi esistenziali. Scrivevo agli amici quel che mi frullava per il capo, e che volevano sentirsi dire da me, e non scordate che spesso vaneggiavo, tra i fumi dell’alcol il consumo di oppiacei, i quali alteravano il mio carattere. Nascondevo le mie sofferenze morali, dimostrandomi spensierato. Anche le mie attività lavorative subivano gli sbalzi d’umore causati dall’uso di sostanze nocive, e il motivo per cui le assumevo, era noto a me solo.
 Studi più recenti presumono che io non abbia mai inviato alcuna lettera, o addirittura non mi si sia mai recato a Londra. E’ mai possibile che la gente desiderasse analizzare ogni mia mossa? Saranno pur stati fatti miei o no?
Secondo Francis Leyland, amico mio e futuro biografo di famiglia, il mio primo lavoro fu di usciere presso una scuola di Halifax. Di certo, lavorai come ritrattista a Bradford negli anni 1838 e 1839, anche se alcuni dei miei dipinti, per esempio quello della mia padrona di casa, la signora Kirby, e un ritratto di Emily, dimostravano il mio talento sia nelle caricature, quanto nello stile classico. Purtroppo altri ritratti non li portai mai a termine, deludendo chi li aveva commissionati. Ritornai così Haworth, indebitato, nel 1839. 
Con mio padre, ripassai i classici, in vista di un futuro impiego come insegnante. Nei primi giorni del gennaio 1840, a Broughton-in-Furness, iniziai la mia occupazione presso la famiglia di Robert Postlethwaite. Durante quel periodo, scrissi alcune lettere ai miei amici del pub di Haworth, che riferirono poi, sul contenuto delle stesse, che offrivo "un quadro vivido del suo scabroso umorismo, della millanteria, e del bisogno di essere accettato in un mondo di uomini". Avrebbero potuto evitare di denigrarmi in tal modo, se fossero stati dei veri amici! Secondo il mio solito stile, diedi via al lavoro, dopo una colossale bevuta in Kendal.
Nel corso di tale attività, continuai la mia opera letteraria, che comprese l'invio di poesie e traduzioni a Thomas De Quincey e Hartley Coleridge, dove entrambi vissero, nel Distretto di Lake. Su invito di Coleridge, mi recai a casa del poeta, il quale m’incoraggiò a proseguire le traduzioni delle Odi di Orazio. Nel giugno 1840 inviai le traduzioni a Coleridge, nonostante fossi stato licenziato daPostlethwaites.  Secondo la biografia di Juliet Barker, dovrei aver generato un figlio illegittimo durante il tempo trascorso in città, ma altri sospettarono che fui iostesso a far circolare questa voce, forse per vantare la mia virilità.  Li lasciai dire…
Coleridge iniziò col scrivere una lettera incoraggiante circa la qualità delle mie traduzioni, nel novembre-dicembre 1840, ma non la terminò. Come si venne a sapere questo fatto, è un mistero, tenuto conto che non la ricevetti mai, non essendo stata spedita dal mittente!  Nel mese di ottobre 1840, mi trasferii nei pressi di Halifax, dove avevo molti amici, tra cui lo scultore James Leyland Bentley e Francesco Grundy.  Ottenni un lavoro presso la ferrovia Manchester e Leeds, inizialmente come 'assistente archivista responsabile' alla stazione diSowerby Bridge, percependo £75 l’anno (a pagamento trimestrale).  In seguito, il 1° aprile 1841, fui promosso a 'impiegato in carica' presso la stazione ferroviariaLuddendenfoot, dove il mio stipendio fu portato a £ 130.  Nel 1842 fui licenziato a causa di un deficit nei conti di £11.08. Questo importo fu probabilmente rubato da Watson, il portiere, che mi aveva momentaneamente sostituito quando, tanto per non smentirmi, mi recai a bere nel vicino pub. Il mio licenziamento fu attribuito più per incompetenza, che per il furto. La somma mancante fu detratta, ovviamente, dal mio stipendio. 
Francis Leyland, ricordandomi in quel periodo, mi descrisse così: "Piuttosto sotto la media statura, ma dall’aspetto raffinato, apparenza di gentiluomo, e di modi graziosi. Di bella carnagione, e fini i suoi lineamenti. La bocca e il mento ben modellati. Il naso prominente e del tipo romano. Gli occhi brillano e ballano di gioia.Il suo volto ovale, d’irresistibile fascino, suscita l'ammirazione di chi lo osserva”:
Altri ne hanno stesa di me una descrizione meno lusinghiera, come "quasi insignificante e piccolo uomo" e con "una massa di capelli rossi che portava spazzolata in alto sulla fronte - forse per aiutare a farlo apparire più alto - i piccoli occhi da furetto, infossati e ulteriormente nascosti dagli occhiali che non toglieva mai”.
Questo, a dimostrazione che ognuno ha il suo personale senso della bellezza o il proprio modo di valutare le persone.
Nel gennaio 1843, dopo nove mesi a Haworth, assunsi un altro posto di lavoro, come tutore a Thorp Green, offrendo lezioni individuali al giovane figlio del reverendo Edmund Robinson.  Mia sorella Anne fu a sua volta insegnante in quella casa, dal maggio 1840. Com’ero solito, in un primo momento le cose andarono bene, così riferì Charlotte nel gennaio 1843, sostenendo che noi fratelli fummo“meravigliosamente valutati nel loro lavoro”.
Durante i trenta mesi di servizio, mantenni corrispondenza con alcuni vecchi amici, riferendo della mia crescente infatuazione per la moglie di Robinson, Lydia, nata Gisborne, una raffinata e affascinante signora, di quasi quindici anni più anziana di me.  Scrissi a uno dei miei amici, dimostratosi poi inaffidabile, che "la mia signora è dannatamente troppo affezionata a me" e gli inviai una ciocca dei suoi capelli, che era rimasta, durante la notte, sul mio cuscino. Nel luglio 1845 fui licenziato.  Secondo Gaskell, ricevetti una lettera con la quale lei mi respingeva duramente, facendomi intendere che i miei atteggiamenti erano stati scoperti e, pena di rendere pubblica la faccenda, mi fu ordinato di interrompere, immediatamente e per sempre, tutti i contatti con ogni membro della famiglia. Diverse spiegazioni furono date su tale argomento, comprese vere e proprie indebite congetture, riguardo a mie relazioni inappropriate con la figlia o il figlio di Robinson, oppure che la causa fosse da addebitare al non aver soddisfatto le attese dei datori di lavoro. La spiegazione più plausibile potrebbe essere quella che lo stesso speravo, cioè che la relazione con la signora Lydia sfociasse in un matrimonio, dopo la morte del marito. Per diversi mesi dal mio licenziamento, ricevetti regolarmente piccole somme di denaro da Thorpe Green, inviate dalla stessa signora Robinson, presumibilmente per dissuadermi dal ricattare il mio ex datore di lavoro. 
Tornai presso la mia famiglia alla canonica di Haworth , dove cercai un altro lavoro, scrissi poesie e tentai di utilizzare il materiale  di Angria per un libro intitolato “ And the Weary are at Rest” (E gli stanchi sono a riposo).
Durante il 1840, molte delle mie poesie furono pubblicate in giornali locali con il nome di Northangerland, facendo di me il primo dei Brontë a ottenere l’edizione delle proprie opere.  Ben presto però, dopo la morte del signor Robinson, la vedova chiarì che non intendeva sposarmi, e tale rifiuto, si sostenne malignamente, mi avrebbe condotto all’alcolismo cronico. Fui dedito inoltre agli oppiacei e affogai nei debiti. Le lettere di Charlotte, da quel momento, attestarono che fu molto irritata dal mio comportamento, Nel gennaio del 1847 scrissi al mio amico Leyland, a proposito della facile esistenza nella quale speravo: "Vorrei cercare di farmi un nome nel mondo dei posteri, senza essere tempestato da piccole ma innumerevoli preoccupazioni".  Il mio comportamento diventò sempre più impossibile e imbarazzante per la famiglia, lo ammetto. Riuscì a incendiare il mio letto, forse a causa di una candela lasciata accesa la notte, o da una sigaretta che non spensi, non ricordo, dopo di che, mio padre decise di dormire con me, per la sicurezza della famiglia.  Verso la fine della mia vita inviai un biglietto a un amico, chiedendogli"Cinque pence (5d) di Gin". Non ricordo se fossi stato informato che nel 1847 furono editi i romanzi d'esordio delle mie tre sorelle. 
Il 24 settembre 1848 morii nella Canonica di Haworth, presumibilmente a causa della tubercolosi, aggravata da delirium tremens, causato dall'alcolismo e, in aggiunta dalla dipendenza dal laudano e oppio, nonostante che la causa del mio decesso fosse stata certificata, nell’atto di morte, quale " bronchite cronica - marasma ". (Omesse di proposito le altre cause della mia morte, affinché, rendendo pubblici i miei eccessi, non colpissero maggiormente la famiglia.), Nella biografia di Charlotte, Elizabeth Gaskell racconta di un testimone oculare, il quale affermava che io, volendo dimostrare la potenza della volontà umana, decisi di morire in piedi, e quando iniziai l'ultima agonia, insistetti per assumere la posizione ritta. Il 28 settembre 1848 fui sepolto nella tomba di famiglia. Mia sorella Emily morì di tubercolosi il 19 dicembre dello stesso anno e Anne, il 29 maggio 1849, nella città balneare di Scarborough. L'ultima sorella sopravvissuta, Charlotte, sposò nel 1854 il reverendo Arthur Bell Nichols, curato di Haworth. Morì il marzo dell’anno successivo, a causa di complicazioni sopravvenute durante la gravidanza. Quest’anno, 2017, sono trascorsi due secoli dalla mia nascita ed io, con la mia famiglia, uniti per l’eternità.
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A mio avvisoBranwellcircondato fin da piccolo della sola compagnia femminile, come in un gineceo, e privo di quella del suo stesso sesso - a parte la presenza del padre - rimase isolato in un mondo a se stante, soprattutto per non aver potuto frequentare compagni di scuola, con cui confrontarsi. Ascoltando quel che racconta in questa sua biografia, ritengo che molte affermazioni del giovane Branwell fossero inventate di sana pianta, per farsi vanto agli occhi degli amici, e che anche quella sua infatuazione per la signora Robinson, fosse stata da lui gonfiata, per darsi un tono con i compagni di bevute nei pub (non lo fanno tuttora molti giovani timidi?) o per mascherare – forse - una sua inclinazione omossesuale. Non dimentichiamo che nel periodo storico in cui visse, in Inghilterra vigeva il puritanesimo vittoriano, perciò determinati argomenti e situazioni erano considerati tabù. Ma questo, tutto sommato, è poco rilevante, le mie sono semplici supposizioni. Ciò che importa, riguarda le opere, che hanno lasciato le traccia del suo passaggio, che tanto auspicava in quella lettera all’amico, nel desiderare di farsi un nome da lasciare ai posteri. Quel che ci ha trasmesso, di più notevole, è sicuramente l’esecuzione di quel ritratto delle sue sorelle, nel quale appariva lui stesso e che, sfortunatamente, rimosse. Circolano foto attribuibili alla metà dell’ottocento, e qualcuno ritiene che ritraggano le tre sorelle Brontë, ma resta il dubbio che si tratti veramente di loro, essendo la tecnica fotografica agli albori, e inimmaginabile che sia arrivata fino a Haworh. Raffrontando il ritratto e la fotografia, non intravedo alcuna rassomiglianza tra le figure femminili della foto e quelle ritratte da Branwell. Non va trascurata l'eventualità che, da fratello affezionato, abbia voluto migliorare l'aspetto delle Brontë, ritraendole con gli occhi dell'amore. Tutto è ancora da verificare. A prescindere dalle varie interpretazioni sulla vita del personaggio, dobbiamo essergli grati per averci tramandato i volti delle sue sorelle e addolorati per la sua fragilità, che lo spinse all'abuso di sostanze tossiche, paragonabile a un lento suicidio. Se oggi lo ricordiamo, e se qualche biografo si è speso per scrivere della sua vita, a mio parere, dipese dall'essere consanguineo delle più celebri sorelle Brontë.  Ritengo inoltre che i biografi più attendibili fossero coloro che lo descrissero come un personaggio inaffidabile, poiché la sua pessima reputazione disonorò il nome dei  Brontë, impedendo al padre l’apertura d’una scuola, presso la canonica di Haworth.
I suoi tentativi artistici non ottennero molti consensi poiché, a causa della sua irrequietezza, non portò a termine molti dei suoi lavori. Sospetto, ma è solo un mio pensiero, che sarebbe caduto nel pozzo della dimenticanza, se non si fosse chiamato Brontë.
Danila Oppio

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