benvenuti

Questo blog è di Danila Oppio, colei che l'ha creato, e se ne è sempre presa cura, in qualità di webmaster.

giovedì 12 maggio 2016

Vagando nella nebbia di Danila Oppio

Avevo partecipato alla IV Edizione del concorso Lettere a Letizia,  con il racconto Un vecchio quadro. A distanza di tempo sono stata contattata dall'Editore Calogero Vitale di Sanremo, perché uno dei premi relativi al concorso consisteva nella stampa gratuita di alcune copie di un quaderno, che avrebbe potuto raccogliere racconti o poesie. Ho deciso di scegliere la silloge, contenuta in venti poesie. Finalmente, dopo una serie di disguidi da parte dell'editore - la silloge avrebbe dovuto arrivarmi per la festa della donna, o almeno per Pasqua - ho oggi ricevuto il pacco contenente i quaderni della mia silloge poetica. 


Il concorso è ideato da Onde donneinmovimento;
ha il patrocinio del Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Caltanissetta, del Comune di Caltanissetta, del Consorzio Universitario di Caltanissetta;
è realizzato con il sostegno di: AUSER-Circolo “ Letizia Colajanni, Coordinamento pari opportunità UIL Caltanissetta, Sindacato pensionati SPI- CGIL Caltanissetta, Gruppo di lettura Caltanissetta. 


Il titolo della silloge è  VAGANDO NELLA NEBBIA, l'immagine di copertina è un disegno da me realizzato appositamente.

La breve prefazione, per presentare le mie 20 composizioni poetiche, è la seguente:


Con gioia condivido questa mia nuova pubblicazione, e vi ripropongo il racconto che ha avuto come risultato il premio sopra descritto.

Un vecchio quadro
Un quadro.
Ecco cosa mancava sulla parete bianca, di una vita ormai agli sgoccioli. Nel quadro era inserita una vecchia fotografia di quella piazzetta, dal nome poco indicato per la grande metropoli di Milano: Mirabello. Chissà cosa c’è di bello da mirare, non lo so. E’ una piazza come tutte le altre, qualche albero striminzito, nel centro poche aiole e un vialetto che le taglia in mezzo. Qualche panchina per le persone anziane, e per noi giovani, che ci sedevamo a suonare la chitarra.
E’ un bel quadro, ma in bianco e nero, perché i colori si sono sbiaditi col tempo. Però ricordo, anche se ero un personaggio non dipinto nel quadro, che stavo lì a guardare, partecipavo in disparte. Osservavo.
Sulla piazza si affaccia un bar, avrà anche avuto un nome, ma noi lo chiamavamo “Dall’Oreste”. Era il nome del proprietario, un omone grosso e buono come una pagnotta. Si trattava di un bar senza pretese, non come quelli attuali, che curano l’arredamento, e preparano sfiziosi panini o drink. Se volevi riempire lo stomaco, pane e salame erano sempre a disposizione, come un toast farcito. Se volevi bere, non mancava nulla di quel che c’era, dai superalcolici all’aranciata, ai caffè e cappuccini con brioche sempre fresche.  Il locale era grande, a me pareva immenso: nel centro, due grandi tavoli da biliardo, in fondo, addossati alla parete, alcuni jukebox. Dei vecchi tavolini di legno e sedie, non proprio accoglienti, erano il resto dell’arredamento, oltre al banco del bar.
Pur essendo un locale così scalcagnato, era molto frequentato, da gente di ogni età e ceto sociale. Poco distante da quel bar, si trova “El Tombon de San Marc”, locale frequentato fin dall’ottocento dagli artisti squattrinati, pittori che pagavano la consumazione a suon di quadri e, un po’ più in là, all’angolo di Via Brera, c’è il Jamaica, altro bar frequentato dai soliti noti, studenti dell’Accademia, pittori, musicisti, e quegli scatenati che organizzavano gli scioperi del famoso “68.
Nel quartiere Brera, quelli erano i locali maggiormente frequentati ma, dall’Oreste, era un mondo tutto particolare.
La sera, ci si trovava per decidere dove andare, se al cinema o a ballare in qualche discoteca. Discutendo le varie proposte, riuscivamo a tirare così tardi, che alla fine non si andava da nessuna parte. Allora si giocava a boccette –io con la stecca non ci andavo d’accordo – e se riuscivo a fare filotto – saltavo come una matta, dando pacche sulle spalle a destra e a manca.
Alcune sere, però, i tavoli da biliardo erano intoccabili: arrivavano i fratelli Somaré, con Patrizia, non ho mai capito se fosse fidanzata con Sandro o con Guido, erano sempre insieme come i tre moschettieri! Patrizia era la figlia di Tonino, e nipote di Alberto Ascari, i campioni di automobilismo. I due fratelli, entrambi pittori, (Guido era definito il pittore del Jamaica),  erano più grandi di noi ragazzi di almeno una ventina d’anni, e ci toccava  soccombere alla loro arroganza, sentendosi importanti per essere figli di Enrico, celebre storico e critico della Pittura Italiana dell’ '800 e, per parte di madre, nipoti di Cesare e Guido Tallone, protagonisti della Scapigliatura e della Ritrattistica lombarda, a cavallo fra ‘800 e ‘900" sono stati testimoni di un’epoca fin dagli anni ’50. Hanno partecipato in prima persona al clima culturale che in quel periodo aveva il proprio centro attorno al leggendario “Bar Jamaica” e all’altrettanto celebre Galleria Milano, fondata per altro dagli stessi artisti nel 1964 assieme a Gianni Dova, Aldo Bergolli e Mario Rossello. Ma noi poco e nulla sapevamo allora di tutto questo.
La maggior soddisfazione avveniva quando Victor e Maurizio entravano nel bar, e con nonchalance dicevano ai moschettieri di smammare! Che soddisfazione vedere quei tipi con la puzza sotto il naso, e sacramentando nel classico birignao milanese, allontanarsi con la coda tra le gambe! Ma Victor e Maurizio non erano persone qualsiasi, erano quelli dell’Equipe 84 e nostri buoni amici. Fingevano di voler giocare una partita, e poi ci cedevano il biliardo!
In quel bar entrava, di tanto in tanto, Mariangela, che abitava con i genitori al piano di sopra, s’intratteneva con la sorella Anna, poi andava in teatro per le prove della commedia ‘L’inserzione” di Natalia Ginzburg. Mariangela aveva già quella voce profonda, da gran fumatrice senza aver mai fumato in vita sua.  Anna invece suonava la chitarra, componeva qualche canzone, ma aveva solo diciassette anni e due occhi verdi enormi, da far invidia a un ranocchio! Era molto carina e mia buona amica. Dopo che le sorelle Melato si furono stabilite definitivamente a Roma, ho sempre fatto visita alla loro mamma Lina, fino a qualche anno prima della sua morte.
Ma questo fa parte della cornice del quadro.
Dentro quel bar, non mancava mai Piper – non chiedetemi il suo vero nome, forse non l’ho mai saputo, un ragazzetto alto e secco, sempre insieme alla sua Ornella, che lo seguiva come un’ombra. Piper, così soprannominato perché fanatico di quella discoteca dove una certa Patty Pravo cantava quasi tutte le sere, purtroppo aveva un problema: fumava. Ma non Marlboro o Lucky Strike, fumava spinelli, e sempre di più, per cui era schizzato come non pochi!  Passava da uno stato di euforia, a quello colmo di nervosismo, e non sapevi mai quando era di luna buona. E’ scomparso anni fa, a soli trentanove anni. Aveva smesso di fumare, messo la testa a posto e sposato la sua Ornella che gli era a fianco fin da ragazzini.
 Ma anche questo, fa parte della cornice del quadro.
Franco si sedeva accanto ad Anna e me, sulla panchina del giardinetto, e suonavano la chitarra in perfetto sincronismo, cantando canzoni di Fabrizio De Andrè. Franco aveva una voce profonda, stile Elvis Presley, per intenderci, malgrado i suoi soli 16 anni. Suo fratello Massimo, invece, era già al secondo anno nella facoltà di “non ricordo più”, ma faticava a studiare. Non aveva problemi a dirci che andava avanti ad anfetamine e altre stupefacenti cose! Sosteneva che era l’unico modo per riuscire a studiare e passare almeno un esame.  Ma mi hanno detto che erano tutte palle, giusto per darsi un tono.
Ma anche questo fa parte della cornice del quadro.
Arrivava, nel pomeriggio del sabato o della domenica, un gruppo di ragazzi “bene”, allora si usava definire così quei figli di papà cui non mancava nulla: auto sportive di grossa cilindrata, abiti firmati, soldi in tasca, e una spocchia da far spavento. Con aria annoiata, di quelli cui basta un gesto per avere tutto, come quella pubblicità di un profumo maschile “per l’uomo che non deve chiedere mai”. Si sedevano al nostro tavolo, senza domandare se disturbavano, e chiedevano: che vogliamo fare stasera? Volete venire con noi a una festa? E poi si guardavano con sguardi d’intesa, certi di ottenere consensi: futuri giornalisti, futuri notai, futuri avvocati…attuali e futuri rompiballe!
Anna, Ornella, Loredana ed io li guardavamo di sottecchi e poi rispondevamo loro di non scocciare, che avevamo meglio da fare che perdere tempo con gente noiosa come loro! Credevano di far colpo con le loro auto di lusso, e tutto il resto? Oddio, erano anche dei bei ragazzi, su questo non ci pioveva, ma sapevamo che erano quelli che allungavano le mani, e che cambiavano ragazza con la stessa frequenza con cui cambiavano i calzini! E noi non intendevamo essere prese in giro da quei cascamorti!
Michele, notaio affermato, è stato colpito da infarto a cinquant’anni, dopo aver giocato a calcetto con gli amici. La figlia Federica, che gli somigliava come una goccia d’acqua, disperata per la morte del padre, ha accettato l’invito di un amico di famiglia, che l’ha portata col suo aereo privato in Amazzonia, per distrarla un po’. Sono precipitati. Lei aveva solo ventotto anni, ed erano trascorsi pochi mesi dalla morte del padre.
E anche questo fa parte della cornice del quadro.
C’era un ragazzo, Alberto, che quando mi vedeva, s’illuminava d’immenso. A diciott’anni ero magra e bionda, e in un certo qual modo potevo rassomigliare a Nicoletta Strambelli, per la quale, come tutti i ragazzi dell’epoca, andava pazzo. Già da lontano lo sentivo gridare: sta arrivando Patty Pravo! Ed infatti, a  bordo del mio Ciao, stavo per raggiungere il bar.
Non volevo storie con nessuno, mi piaceva la compagnia di tutti, stavo bene con le mie amiche e con i loro amici, mi piaceva incontrare qualche pittore di una certa notorietà, come Gianni Dova, o Franco Pedrina, lo scultore Luciano Minguzzi, i fratelli Somaré e altri ancora, noti o ancora sconosciuti. E qualche cantante, come quelli dell’Equipe 84, ma preferivo Anna, che aveva davanti una bella carriera non solo in campo musicale.
Una sera, un ragazzo di colore era seduto a un tavolo del bar, e piangeva come una fontana. Gli abbiamo chiesto cosa fosse successo, all’epoca non c’erano vu cumpra’, o gli extracomunitari. Se a Milano s’incontravano stranieri, di norma erano regolari. Ci ha spiegato che aveva scoperto di essere stato adottato, da genitori italiani, bianchi! Ma ragazzo mio, avresti dovuto saperlo che non era possibile tu fossi uscito nero, da una coppia di genitori bianchi! L’ingenuità di quel ragazzo ci ha intenerito e gli abbiamo spiegato che se è stato desiderato dai suoi genitori adottivi, è sicuramente amato quanto un figlio generato naturalmente.
I giorni trascorrevano felici, dall’Oreste, le amicizie si rinsaldavano, ma io non ero dentro quel quadro: non ho mai veramente legato con qualcuno in particolare: stavo in mezzo a loro, condividevo musica, discorsi, uscite, passeggiate, film e concerti, ma era come se fungessi da spettatore. Quella vita non mi apparteneva, io ne avevo un’altra. Il bar di Oreste non esiste più, morto il gestore, morì per inedia anche quel simpatico locale.
Anch’io facevo parte della cornice del quadro.
Il quadro è talmente sbiadito, che penso di conservare la cornice, per inserirvi altri momenti, mentre la foto di gruppo la porto in soffitta, tra le ragnatele dei ricordi. E scendo di sotto,
Quanta biancheria da stirare! Accendo la radio perché mi faccia compagnia. Ne sgorga una ballata di De André ed è subito flashback! Vedo Franco e Anna, seduti su di una panchina di Piazza Mirabello. Suonano la chitarra e stanno eseguendo proprio questa canzone. La voce del ragazzo è profonda e, in barba ai suoi soli diciassette anni – gli stessi di Anna – ricorda quella di Fabrizio.
All’ombra dell’ultimo sole
S’ era assopito un pescatore…
La memoria torna indietro come un boomerang, di decine d’anni. Era il ’68, tempo di contestazioni giovanili, e non solo. I miei amici suonavano bene, avevano una bella voce, un vero piacere ascoltarli.
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso
Molti rimpiangono la gioventù passata, come avessero perso qualcosa che non si può recuperare, con nostalgica malinconia. Io no. Sono felice di avere gli anni che ho, e una vita vissuta pienamente. A quell’età post-adolescenziale si hanno idee fumose, progetti a volte assurdi e tanta, tanta paura del futuro.
Ci si chiede: come sarà? Sarò felice? Si sbobinano film mentali a volte cupi, oppure surreali. Ipotizziamo la vita che si dipanerà davanti a noi, simile a una strada che ci condurrà in nessun posto o colma di sogni irrealizzabili.
Venne alla spiaggia un assassino
Due occhi grandi da bambino
Il futuro potrebbe anche rivelarsi un assassino che uccide i nostri sogni giovanili. Quegli occhi grandi da bambino si potrebbero spalancare su un orizzonte sereno, su panorami di straordinaria bellezza…perché no?
Due occhi enormi di paura
Erano gli specchi di un’avventura
Giusto, la vita è un’avventura, dalla nascita, ciascun giorno della nostra esistenza potrebbe essere vissuto passivamente, oppure affrontato con grinta ed entusiasmo. Basta volerlo! Resta comunque un’affascinante incognita.
E chiese al vecchio dammi il pane
Ho poco tempo e troppa fame
E chiese al vecchio dammi il vino
Ho sete e sono un assassino
Anche noi ci trasformiamo in assassini, se sciupiamo il nostro tempo in gesti parole e pensieri che non hanno un fine utile né a noi, né agli altri. Non occorre uccidere qualcuno per macchiarsi di gravi pecche, è sufficiente gettare alle ortiche i giorni. Giorni che rendiamo vuoti, come una lattina di birra bevuta d’un fiato e lanciata tra i rifiuti. A volte penso di aver buttato via troppo tempo, da giovane. E allora perché una canzone non mi porta a ricordare, come i migliori anni, quelli della mia giovinezza, ma mi fa riflettere sul presente? Perché si deve forzatamente credere che gli anni migliori fossero quelli in cui avevamo pochi anni e poca esperienza? De André continua:
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
Non si guardò neppure intorno
Ma versò il vino e spezzò il pane
Per chi diceva ho sete e ho fame
E brava Anna! Ha scelto una canzone che, pur in tempi di rivoluzione culturale, contiene un ottimo insegnamento. Non fermiamoci in superficie, scaviamo ne profondo: qual è la primaria necessità dell’uomo? Vivere!
E fu il calore di un momento
Poi via di nuovo verso il vento
Davanti agli occhi ancora il sole
Dietro alle spalle un pescatore
Ho vissuto, il pescatore rappresenta la mia vita trascorsa, il sole deve ancora tramontare davanti ai miei occhi. Gli anni migliori della mia vita sono questi che sto vivendo. Ma se lo avessi dovuto dichiarare decine d’anni fa, avrei asserito lo stesso concetto. E’ l’attimo presente la parte migliore della nostra vita.
Dietro alle spalle un pescatore
E la memoria è già dolore
E’ già il rimpianto d’un aprile
Giocato all’ombra di un cortile.*
E all’ombra dei ricordi, cavolini di Bruxelles, sono riuscita a bruciacchiare la camicia che stavo stirando!
 *O di Piazza Mirabello a Milano. Anna vive a Roma, e ha raccolto consensi nella sua vita artistica. Il suo cognome è Melato, come la sorella Mariangela, splendida e indimenticata attrice, scomparsa l’11 gennaio 2013. Questo racconto è a loro dedicato, con grande affetto.

Danila Oppio

Nessun commento:

Posta un commento