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Questo blog è di Danila Oppio, colei che l'ha creato, e se ne è sempre presa cura, in qualità di webmaster.

sabato 26 dicembre 2015

Recensione di Roberto Vittorio Di Pietro alla silloge poetica Graffiti Graffianti di Danila Oppio

Oggi ho ricevuto uno splendido dono di Natale! Una recensione davvero graditissima, da parte di Roberto Vittorio Di Pietro, del quale qui sotto trascrivo una sua breve biografia. Mi aveva inviato la sua raccolta poetica, l'ARCHETIPO DELLA CANILITA' a cura del compianto Rodolfo Tommasi, e per ricambiare la sua cortesia, gli ho inviato la mia silloge Graffiti Graffianti, inserita nella raccolta di più autori, Balì. Non mi aspettavo nulla, mi sarei accontentata che leggesse le mie poesie, ma Roberto Di Pietro ha fatto di meglio, e mi ha scritto una lettera proprio il giorno di Natale, che rendo pubblica, poiché desidero condividere la mia gioia in questo blog. Per me è un grande onore, essere recensita da un così grande artista.

Di Pietro Roberto Vittorio

Roberto Vittorio Di Pietro ama occasionalmente firmarsi con lo pseudonimo provocatorio di “Bobby il Meticcio” o “Momo Sabazio) è nato in Egitto e “per fortunata coincidenza, anche svezzato in quel centro di fertile cosmopolitismo che erano le città del Cairo e di Alessandria ancora negli anni Cinquanta”. I suoi interessi culturali spaziano dalle dottrine umanistiche, alla musica, alle discipline scientifiche. Bocconiano brillantemente laureato in lingue e letterature straniere, come studioso si è dedicato sia ad argomenti teorici (analisi metrica, fonosimbolismo) sia a specifici autori classici di varie epoche e nazionalità: da Shakespeare a Gray, Smollett, Scott, Virginia Woolf; da Twain a Updike; da La Fontaine a Borges; da Pascoli, a Bigongiari, Buzzati ed altri. È stato collaboratore esterno per i programmi culturali RAI. Moltissimi sono i premi nazionali ed internazionali vinti da Roberto Vittorio Di Pietro nel corso della sua lunga esperienza artistica e letteraria .  Nel giugno 2009 gli veniva infine conferito il prestigioso  “Premio Casentino d’Onore per l’Attività Letteraria” con la seguente motivazione ufficiale: “…per aver dato alla poesia italiana una svolta di intense e inedite plurivalenze, e alla visione saggistica una prospettiva di originali e convincenti profondità esegetiche”.



Torino, 25 dicembre 2015

Gentilissima Danila,
seppure  distolto da incessanti preoccupazioni  in questo periodo, ieri  sono se non altro riuscito a ritagliarmi un’oretta di tranquillità da dedicare alla Sua raccolta poetica suggestivamente intitolata “Graffiti graffianti”, contenuta nel volumetto antologico che mi ha cortesemente spedito, e di cui torno a ringraziarla. 

L’aspetto che maggiormente mi colpisce e mi aggrada nella Sua scrittura è l’indubbia presenza di quello che dai Greci veniva detto “sfraghìs”: un vocabolo con cui si intendeva definire la “firma”, o se preferisce il “marchio di fabbrica”, o forse meglio la “zampata” che contraddistingue lo stile di un artista (poeta, pittore, musicista, cantante, ecc.) rendendolo immediatamente inconfondibile rispetto ad altri, magari altrettanto abili  nel loro campo ma individualmente anonimi, percepibili solo come tanti lucenti aghi di pino sparsi in un vasto pagliaio. Quando effettivamente questo elemento singolare emerge in una qualsiasi opera d’arte, credo sia compito di ogni critico letterario veramente degno di questo nome, saperne cogliere subito anzitutto l’esistenza, per poi indagarne l’essenza, circoscriverla, gradatamente illuminarla e infine segnalarla nel modo più compiuto possibile – anziché, come troppo spesso succede, voler avventatamente azzardare impressioni positive o negative, lodi sperticate o stroncature, cosiddette “opzioni a favore o contrarie” non meglio giustificabili da parte di chi le propone se non in base ai propri gusti pur sempre discutibili, o inclinazioni estetiche del tutto soggettive che dir si voglia.
Con un esempio concreto: che a me, come libero cittadino, possa piacere Degas piuttosto che Van Gogh o Picasso, Beethoven piuttosto che Prokofiev, oppure la voce roca di Fausto Leali anziché quella flautata di Bocelli, va benissimo; e tuttavia, in veste di critico professionalmente chiamato ad esprimermi, devo saper prescindere da ogni mia preferenza o avversione istintiva, dimostrare di saper apprezzare i diversi meriti intrinseci di ognuno dei suddetti “artisti” e, con gli strumenti adeguati, nel migliore dei casi metterne a fuoco i rispettivi stilemi caratterizzanti.

Affermare -- a ragion veduta -- che  la “singolarità” di un artista sia inconfondibile nella forma e nella sostanza inimitabile, credo sia il solo autentico omaggio che un critico onesto possa voler offrire. E la massima lusinga che ogni artista saggio dovrebbe saper accogliere con giusto compiacimento: ben comprendendo quanto insulsa e stucchevole sia, per contro, la troppo facile e diffusa gratuità dell’adulazione per l’adulazione.  Tornando a “Graffiti graffianti”, a me pare senz’altro chiaro che nell’insieme di quei versi (così nelle soluzioni formali, così nelle scelte lessicali e nell’indirizzo filosofico dei contenuti) sia ovunque nettamente individuabile, come in filigrana,  la “firma” implicita di uno stesso autore. Un invidiabile traguardo, questo, per chiunque lo abbia davvero raggiunto. Certo, mi piacerebbe poter intraprendere un’analisi capillare del testo per documentare a fondo questo mio giudizio: proprio in questo è consistito il lavoro di ricerca che ho cercato di condurre nei miei studi critici pubblicati attraverso gli anni; temo, però, cara Danila, di non possedere più tutte quelle basilari energie fisiche che sarebbero necessarie per poter proseguire seriamente in questo genere di attività. Per il mio temperamento intransigente, purtroppo, non più.

Ancora un grazie di vero cuore per avermi voluto benevolmente “ospitare” fra i Suoi innumerevoli amici, nell’ambito di un blog di sicuro interesse e valore culturale in senso lato. Sebbene indirettamente (e, per ora, soltanto virtualmente) sono felice  di aver potuto fare la Sua conoscenza.

BUON NATALE!

Roberto Vittorio Di Pietro

venerdì 11 dicembre 2015

Quando


Quando ti penso
non scrivo
sono lontano dalla penna

Quando ti penso
tu mi aggredisci
io inerme
stregato dal tuo pensiero
invitato a stringerti
a seguirti
a risponderti
nei sentieri metaforici
di una poesia
che, forse, non ha
ragion d'essere...

ma è!

Gavino Puggioni
Da Nelle falesie dell'anima



Notte del 24 dicembre anno zero  



Le stelle quella notte, discutevano animatamente su chi dovesse brillare così tanto, da poter segnalare un grande evento che si stava verificando sulla Terra.
Avevano sentito parlottare gli Angeli. Dicevano che sarebbe nato il Figlio di Dio. Un fatto del tutto eccezionale, tanto che scombussolò non solo gli Angeli, ma anche tutti gli astri del cielo.
Alla fine decisero che sarebbe stata Cometa, a tracciare il percorso per i Pastori e i Magi, a indicare loro il luogo dove il Bambino sarebbe nato.
-       Vai tu, realmente noi non possiamo muoverci, stiamo fisse come tante capocchie di spilli luminosi, a trapuntare il cielo notturno.
Cometa invece poteva attraversare lo spazio, ed era anche la meglio vestita di tutte, poiché indossava un lungo strascico luminoso e dorato.
Fu così che quella notte buia e fredda, nel cielo apparve Cometa, tanto bella e splendente, che i Pastori rimasero a bocca aperta, ad ammirarla. Ma lei si fermò, quando vide che dalla Terra, in un certo paese della Palestina, chiamato Betlemme, s’innalzava una luce più intensa della sua.
-       Chissà per quale motivo hanno inviato me, se lì c’è tanta luce da illuminare l’intero Pianeta!
-       Ti ho inviato - disse una voce dall’alto – perché gli sguardi possano fissare il Cielo, e vedere quanto succede sulla Terra con altri occhi. Guardare Lassù, aiuta a veder meglio Quaggiù.
Quella che vedi, è la Luce che illuminerà il mondo, più di tutte le stelle del firmamento.


Danila Oppio

Racconti di Natale di Angela Fabbri: Le Pecore del Natale - La Notte di Natale


 



LE PECORE DEL NATALE  





Le pecore, quiete, scendevano adesso giù dai monti e qualcuna ogni tanto si girava ancora cercando nel buio dei boschi lassù le ombre nere che le avevano cacciate via e rotolate giù per i dirupi.
Il pastore… Dov’era il pastore, loro compagno e guida?
La pecora anziana, la vecchia madre, portava avanti adesso la compagnia delle pecore.
Fra gli sterpi e nel buio. “ Sopravviveremo? Dobbiamo arrivare in valle. Allora il cielo brillerà di nuovo, sul vecchio torrente.
 Questa è la strada che conosco. L’ho percorsa per anni.  Ma senza un Pastore, noi, poi, cosa faremo? Cosa faremo di noi? “
Rispose la luce delle stelle, la voce del torrente, il profumo dell’erba bagnata.
Così le Pecore del Natale scesero al piano, dove trovarono altre pecore, tante altre pecore, innumerevoli altre pecore, ciascun gruppo con il suo pastore.
Si mescolarono a loro, attratte dal calore, dall’affettività, dalla consuetudine.
Ma poi… una a una si ritrovarono di nuovo insieme e una fila  di pecore si delineò fra le altre.
<< Ma dove andate? Perché non restate con noi? >>
“Cerchiamo un pastore” rispondeva ora all’una ora all’altra la pecora anziana Non abbiamo un pastore”
<< Sono pecore senza pastore? >>
<< Ma non si è mai sentito! >>
<< Oh poverette! >>
Intanto, le pecore senza pastore, uscivano dalla massa di greggi e s’inerpicavano su una collina, morbida questa, ben lontana  dagli sterpi e dai dirupi che avevano attraversato. E lì si accovacciarono e si addormentarono,  ignare che intanto il loro nuovo Pastore era arrivato.
Angela Fabbri 

La Pecora rappresenta la Terra, quello che tutti adesso si compiacciono di chiamare 'le radici'. Il che mi ricorda uno spezzone di canzone mia che fa così e chissà dov'è:
" Io so una cosa sola
   Che l'albero non vola
   e le pecore non hanno le radici.
   Ma ecco arriva
   proprio in questo istante
   una bianchissima pecora volante... "
Erano versi che facevano tanto ridere la mia amica Patrizia e a dir il vero anche me, mi rasserenano.
Il Cielo rappresenta ciò che con nostalgia ci manca e che cerchiamo, senza neppur sapere cos'è.
Angela Fabbri





LA NOTTE DI NATALE   





C’era una stella in cielo che per molti giorni e molte notti aveva viaggiato.
Ma adesso i pastori che ne avevano seguito il cammino, con un’inspiegabile ansia di pace nel cuore, la vedevano ferma. A illuminare tutta la collina lassù, la vedi?
I pastori salirono fra i sassi e le mamme pecore seguivano con gli ultimi nati, talmente appena nati, che dopo un po’ ogni pastore si trovò in collo un agnellino, così che si facevano caldo in due, perché la notte era molto molto fresca.
Un piccolo vocìo arrivò a loro nella notte tutta illuminata e spinse tutti pecore e pastori,  a correre a vedere.
Era nato un altro piccolino e noi tutti sappiamo che l’avrebbero chiamato Gesù e sappiamo anche tutto il grande seguito della sua storia. Ma in quel momento era solo un cucciolo ancora bagnato di rugiada.
Le pecore, mamme già da molte volte, accorsero e lavarono il cucciolo Gesù da capo a piedi, rivolgendo poi la loro attenzione alla madre, una Signora di nome Maria che era tanto tanto stanca, adesso che la nascita si era compiuta.
La guardarono e comunicarono con il pensiero. “Questo è solo l’inizio. Aspetta che si metta sulle zampe e vedrai quel è la vera fatica. Ti diciamo questo perché ci siamo già passate. Sarà gioia e apprensione tutto il tempo. Ma è proprio questo tempo, che vale la pena di vivere”.
E Maria si addormentò serena col suo bimbo fra le braccia.

domenica 6 dicembre 2015

Una serata a Porto Torres: RAPIDUM

Il giorno 5 dicembre, presso Antiquarium Turritano, a Porto Torres, l'autore Vindice Lecis ha presentato il suo libro RAPIDUM.


Rapidum
La Cohors II Sardorum ai confini dell´impero  
Autore
Anno di edizione
2015
ISBN
978-88-7356-267-2
Collana
Pagine
304
Formato
Dim. 150x210 mm
Supporto
Libro
Prezzo
€ 20,00





Una coorte di sardi impegnata in Africa settentrionale in una missione dai tratti oscuri. Una rivolta di mauri dove operano personaggi legati a manovre di palazzo.
Il romanzo storico Rapidum comincia con un intrigo inestricabile sullo sfondo dei primi anni del principato dell´imperatore Adriano. Il sardo Ursario combatte con i ribelli mauri, ma conserva un segreto inconfessabile. Per catturarlo si muovono due agenti, un karalitano e un turritano, inviati dal generale Marcio Turbone, comandante delle armate romane. La verità che emergerà sarà terribile. Ma la storia prosegue quando, su ordine di Adriano, un´unità militare specializzata, laCohors II Sardorum, costruirà un forte, estremo baluardo dei confini meridionali dell´impero. Si chiamerà Rapidum.
Attorno a questa fortezza nascerà un villaggio, che diventerà municipio romano. In quei luoghi vivranno le storie e le vicende dei sardi, combattenti capaci anche di difficili mediazioni, in un´Africa settentrionale sempre agitata da ribellioni. Il romanzo si muove tra azione e avventura, ma è immerso in una cornice di riferimenti storici accurati dai quali emerge anche la situazione della Sardegna dove operano proconsoli, militari, agenti frumentarii, magistrati, soldati e schiavi. Un´isola, attraversata da strade che collegano importanti città, in perenne equilibrio tra costante resistenziale e integrazione in un impero che la sfrutta per la produzione di grano e di metalli, e la utilizza come terra d´esilio.


Gavino Puggioni e l'amico Luca Foddai sono intervenuti all'evento. Qui di seguito alcune foto in ricordo della serata.


L'ingresso

L'autore


 Puggioni e Foddai

Puggioi con l'autore Lecis



giovedì 3 dicembre 2015

Ho poggiato


Ho poggiato le mie mani
sulle tue
eludendo il vento della sera

I miei occhi dentro i tuoi
e il tramonto era lì
sdraiato
sopra corpi immobili
a raggranellare 
respiri di onde
confessioni d'amore
appiccicate 
a petali consumati
di un vecchio rosario

Gavino Puggioni
Da Nelle falesie dell'anima