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giovedì 6 marzo 2014

La grande bellezza

Se la “Dolce vita” ha rappresentato una Roma che non ho potuto conoscere, per motivi anagrafici, se non quando era già declinata, la Roma mondana (e mondana  in tutti i sensi), della Grande Bellezza, è quella della  mia generazione. La pseudo intellettuale di sinistra in preda a una crisi di nervi, “sono” quelle femministe che dai microfoni di Radio Citta’ Futura invitavano le donne “proletarie” ad abbandonare i propri mariti. Quelle benestanti borghesi che rinchiuse in via Del Governo Vecchio, non lasciavano i loro, architetti e professionisti di una Roma bene, più che di sinistra… sinistri nel loro decadentismo intellettuale. La borghese ch’era stata bella, destinata all’anonimato per il proliferare di carne più giovane di lei ed altrettanto se non di più, disponibile di lei ma che nel mio immaginario somiglia a quella Marcelle dell’Età della Ragione di Sartre.
Le sfarzose feste di una nobiltà tutt’altro che d’animo, d’una romanità perduta dall’avvento dei nuovi ricchi, cafoni e burini ma dalle enormi disponibilità economiche. Le case arredate come musei del nuovo senza alcuna personalità, o infinitamente barocche d’uno sfarzo ereditato senza averlo vissuto.
Via Veneto, Caracalla, il Gianicolo, uno spettacolare attico sul Colosseo che toglie il respiro. Il dipinto notturno  quella città di papi e imperatori che m’è appartenuta per uno dei tanti screziati periodi della mia esistenza.
E’ la Grande Bellezza il libro mai scritto dal protagonista, vissuto di allori per una pubblicazione giovanile che gli ha dato accesso ad aperte cosce , vogliose d’un intelletto non posseduto e che il protagonista “sprecherà”, rendendosene conto con mal celato cinismo sul volgere del termine della sua esistenza. Un protagonista tutto sommato grato per quanto ha, in un certo qual senso, immeritatamente ottenuto da tutto ciò che lo ha circondato.
Inutile dire di aver subito il fascino di questo Jep Gambardella, tanto vicino alle radici della mia sconclusionata esistenza, consapevole di non essere diventato quello che gli altri avrebbero voluto e che si ritrova spaesato in quell’unica mattina in cui causalmente sveglio,  non la riconosce come sua.
Sono nel mio immaginario i mangiatori di fuoco delle notti di Piazza Navona, attività che perfino io ho fatto seppure solo per scommessa, in quell’età’ dove ancora dovevi dimostrare qualcosa, se non agli altri a te stesso. Il gobbo che leggeva la mano guardandoti nell’occhi e le ragazze che subendo il fascino perverso della morte che t’accompagnava, che te la davano senza nemmeno doverla chiedere.
Un fantastico Servillo  che i francesi, perennemente con la puzza sotto il naso, ci invidiano, e fanno bene, non potendo loro mai arrivare a quelle vette che solo il Cinema italiano e’ in grado di raggiungere, per un motivo che a tutt’oggi mi rimane sconosciuto.
Me lo diceva in tempi non sospetti, Roger Vadim, uno dei mariti di B.B., gli americani andavano matti per quei film che qui da noi non riscuotevano un gran successo ai botteghini. Gli americani erano strepitosi nella realizzazione tecnica dei film, ma i sogni di uno Zavattini o di un Fellini, per loro erano inimmaginabili, impossibili perfino da mettere in uno story board ed ora Sorrentino, il nuovo visionario di quel “dolce inganno” che, a tutti gli effetti e’ il Cinema.
La fotografia, inutile dirlo, e’ spettacolare senza la benché minima sbavatura, un voluto “sole in macchina” (l’unico di tutto il film) che come un abbaglio ti riporta per un istante alla realtà che si tratta di un film che altrimenti potresti perderti per sempre all’interno della pellicola. Giusta perfino la colonna sonora che unisce tra loro le immagini di questo eterno “trenino” d’una i terminabile festa dove devi divertirti per forza. I non troppi dialoghi essenziali all’opera filmica come solo nel Postino avevo già visto.
I francesi se ne facciano una ragione, a loro rimane comunque la palma delle commedie sexi. Un consiglio a chi ancora non ha visto il film, al pari di certi film epici e, come si diceva un tempo, di largo respiro, va visto nel buio amniotico di un cinematografo, senza interruzioni pubblicitarie che sono un po’ come quando ti svegli di notte per andare al bagno…interrompono quell’emozione onirica e vagamente sensuale che e’ il sogno con una realtà non necessaria. Non preoccupatevi di non capire e godetevi un qualcosa che è il senso stesso dell’esistenza… la vita.

Massimo Mariani Parmeggiani



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