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martedì 8 ottobre 2013

NELLE FALESIE DELL'ANIMA






Recensione di Giorgio Linguaglossa
 Forse questo di Gavino Puggioni è un libro d'amore, come può scriverlo un autore che voglia dissimularne le tracce; e il poeta è costretto a scrivere sull'acqua o ad aprirsi un guado nella neve. Se Cavalcanti e gli stilnovisti elaborano una laica teoria dell’amore, per secoli, nelle generazioni seguenti sarà più di tutti Francesco Petrarca a percorrere, «nano sulle spalle di quei giganti», il cammino a ritroso che, grazie al senno di poi, doveva invece condurre in avanti, costruendo i fondamenti di quella civiltà umanistica nella quale riuscirono a convivere, arricchendosi reciprocamente, la tradizione classica e quella cristiana.
Oggi il mondo moderno a tecnologia avanzata esclude a priori ogni autorità e magistero spirituale che non provengano da essa, e la poesia si vede quasi ridotta a prendere ad interlocutore il proprio «io» («le falesie dell'anima»), o a inventarsi degli interlocutori surrogati, o finti, a prodursi nella zona di scocca tra un talismano quasi magico come il violino di Beethoven e un italiano che sarebbe la traduzione della musica di quel violino; e lo stile diventa il risultato di un rapporto, il risultato di un dialogo tra una tematica «d'occasioni» e l'istituzione linguistica per eccellenza qual è il linguaggio poetico. Dal punto di vista fonetico e lessicale, nelle parti in versi, la poesia di Gavino Puggioni riceve sicuramente uno stimolo da questa contaminazione a distanza, ma rimane pur sempre all'interno della dialettica tra conservazione e innovazione di novecentesca memoria, non può sfuggire alla dialettica che il Novecento ha inaugurato con le avanguardie storiche.
Siamo certo tutti figli del Novecento, il secolo che ha espiantato la poesia dal corpo umano quale organo inutile, un po' come si faceva un tempo quando i chirurghi espiantavano le tonsille ai bambini. Ma è un espianto che ha delle conseguenze non, propriamente, tutte positive, o che comunque porteranno dei risultati che soltanto il futuro potrà giudicare.

 Giorgio Linguaglossa


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