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Questo blog è di Danila Oppio, colei che l'ha creato, e se ne è sempre presa cura, in qualità di webmaster.

martedì 24 settembre 2013

UNA FAVOLA PER UNA BAMBINA



 Un cancello del condominio Le Ginestre che si apre a comando, con le case adagiate nel verde di prati sardi sempre curati, adombrati da vecchi pini ed abeti che, forse, facevano parte di una foresta grande grande, incontaminata, mai violata da mani umane, abitata da uccelli piccoli e grandi, da gabbiani in cerca di una cova, da lucertole e da bisce innocue e striscianti al sole caldo di luglio.
Di fronte, il mare, a cento passi, accogliente, a volte bizzoso, a volte minaccioso.
I grandi, gli adulti, non lo vedono e neanche lo rispettano. I bambini sì che lo rispettano perché vedono nelle onde altalenanti il movimento scomposto di giganti marini che si avvicinano e si allontanano e allora, non conoscendoli, vogliono starne a distanza.
Il fragore delle onde che si abbattono sulla spiaggia é, per loro, un monito, un avvertimento che li costringe a stare lì, sulla battigia, a costruire, con manate e colpi di piedini, piccoli grandi castelli che, dopo, cederanno alle acque prepotenti delle maree.

E qui avviene e si svolge la favola di Camilla, anzi incomincia proprio dall'ingresso in quella pineta dove Gavino, futuro nonno, vuole fare il nonno, ma non ci riesce.
Però trova due rami d'albero rinsecchiti e decide di ripulirli da foglie secche inutili; prova a limare i nodi che possono far male e riesce a fare due finti bastoni. Fa finta di appoggiarvisi, quasi in un dinoccolare lento e faticoso, proprio come si addice ad un nonno vecchio e malfermo sulle gambe.
Camilla lo vede, ride e tenta di imitarlo, ma non ci riesce. Lei prende un bastone e, tenendolo in mano, lo affonda nella sabbia umida, come a dimostrare il suo peso sulla terra che cede.
Dopo, i due bastoni vengono conficcati, a breve distanza, nella rena umida, uno di fronte all'altro, quasi a disegnare un confine. Sulla loro cima sventolano già due fazzoletti bianchi e pare che salutino chi viene e chi va.
Dentro quel confine, come per magia, c'é già un castello, coi suoi torrioni e le sue stradine, frequentate da tanti guerrieri che hanno la forma di pezzi di foglie, di alghe verdognole e gialle. Ci sono cani e gatti e pure porcellini, ignari del loro destino.
Camilla vuole anche la macchina, come quella di papà, pensa, ma quel nonno le dice che nei castelli non ci sono mai state macchine, se non quelle della guerra, ma questo non glielo spiega e fa bene.
Allora vuole una festa di bambini, come lei, e il nonno che non é nonno, toglie dalle viuzze del castello i guerrieri e mette tanti bambini, creandoli dagli steli delle erbette colte lì vicino.
Camilla ci crede e, addirittura, ne fa cadere uno, di quegli steli, al quale aveva dato un nome di una sua amichetta, evidentemente antipatica e scontrosa. Il nonno la invita a chiedere scusa, ma la sua ragione é più forte e non cede e lui non osa chiedere perché.
L'innocenza é forte, ma la volontà, a volte, sovrasta l'innocenza.

Ora il sole brucia, i bagnanti sono tutti spaparacchiati a prendere la tintarella e qualche bambino s'é ricoperto di una maglietta o é corso sotto l'ombrellone di mamma e papà, per evitare già evidenti arrossamenti, se non scottature.
Meno male che Camilla questo problema non ce l'ha. Lei continua a divertirsi e a scorrazzare intorno al suo castello, popolate delle sue fantasie che riesce a trasformare in piccole sue realtà. Realtà che, alla fine, riesce ad imporre alla nonna vera, ad un altra finta nonna e a quell'altro sempre finto nonno.

Camilla continua a fantasticare, anche perché il castello è ancora integro, nonostante qualcosa lo minacci da vicino.
·       Come si chiamano il Re e la Regina di questo castello? - domanda – e i figli, i principini?-
·       Che domanda difficile per il finto nonno, ma la fantasia lo aiuta.
·       Si chiamavano, lui, Re Pensiero e lei Regina Speranza. I figli principini, che erano tanti, non avevano un nome proprio, troppo faticoso a ricordare. Tutti si chiamavano Amore, in onore al sentimento che li aveva creati!-
·       Re Pensiero? - si meraviglia la bambina.
·       Sì, sì – si affretta il finto nonno – perché era un Re che pensava molto e bene per i suoi sudditi, che lo adoravano. Regnava con amore, appunto, e rispettava tutti gli abitanti del suo piccolo regno, dando a ciascuno una casa, un lavoro e la possibilità di partecipare alle riunioni del governo, che doveva decidere dell'avvenire di quel territorio.-
Camilla, interessata, ascolta quasi incantata, ma non si sta accorgendo, ahimè!, che quel finto nonno sta facendo fatica a ricordare quegli episodi, che lui stesso ha preso in prestito da un'altra favola.
Il brusio delle chiacchiere intorno e la radiolina di qualche maleducato confondono, alla fine, quel racconto e l'affondano per davvero. Già nell'ora del primo pomeriggio la brezza è diventata venticello, il quale, approfittando della sua prepotenza, ha ingrossato le onde e le ha mandate ad infrangersi esattamente attorno al castello, inghiottendolo.

 Gavino Puggioni
Da Nel silenzio dei rumori






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