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Questo blog è di Danila Oppio, colei che l'ha creato, e se ne è sempre presa cura, in qualità di webmaster.

venerdì 30 agosto 2013

Sulla silloge "Nelle falesie dell'anima" di Gavino Puggioni




Tra le falesie delle umane speranze

È poesia aspra e dolce, ombrosa e dai colori abbaglianti, sconfortata e speranzosa quella che s’aggira tra le falesie dell’anima di cui scrive Gavino Puggioni nel suo più recente lavoro.
Poesia peregrina che affonda le proprie orme in vallate di silenzio e d’ombre, prati ammutoliti, sentieri di bimbi abbandonati, deserti affollati d’indifferenza e di tutte le miserie umane sotto cieli vuoti nei quali volano alla deriva brandelli di civiltà, la nostra, “che vuol sembrare… ma non è”, mentre lo scorrere imperturbabile del tempo segna nel profondo il nostro vivere d’ogni giorno.
Ed è proprio in questo fluttuare, di tempo, di spazi, di emozioni, che s’alza la voce del poeta, facendosi urlo acuto e straziato che punta il dito contro le brutture e le vergogne del mondo fino a mutarsi in carezza che scivola, delicata e a tratti malinconica, lungo i luoghi dell’infanzia e i paesaggi ventosi e assolati di una terra natìa tanto amata, dove attecchiscono radici profonde che non si possono né si vogliono dimenticare. “Argentiera in gennaio” è soltanto una delle varie liriche che dipingono a parole quadri meravigliosi che, in virtù di quella magia sorprendente che la buona scrittura sa compiere, si svelano agli occhi di chi legge; e allora ci si abbandona volentieri all’onda, come una di quelle piccole barche in cerca della rotta, seguendo pigramente ali di gabbiani in volo e, magari, ci si lascia pure scivolare dalle ripide scogliere scolpite sapientemente dal vento e dal mare ché il rischio è solo quello di tuffarsi nelle profondità insondabili dell’anima. Un modo certo più straordinario di tanti altri per intraprendere un lungo viaggio alla volta di quelle “umane emozioni” che il sottotitolo dell’opera prefigge come meta.
Già, perché lo scrivere di Gavino significa senza dubbio un incessante viaggiare:

“ho costruito strade di pensieri / ed in queste mi sono perduto / non c’erano segnali / né luci né ombre / c’ero solo io”

Ma la sua poesia, per quanto vagare solitario, è un discorrere di sé che non dimentica gli altri, siano essi gli affetti del proprio quotidiano o i volti sconosciuti delle periferie più estreme di quella metropoli ormai abnorme chiamata mondo.
Tale attenzione e partecipazione alle altrui sofferenze non possono che essere considerate un pregio nella scrittura: la penna, non dimentichiamo, conserva sempre potenzialità di arma dalla lama affilatissima e chi la impugna sa di non potersi esimere, nel suo piccolo, dal farsi carico dei mali del proprio tempo, così come dei drammi della Storia, presupposto indispensabile per guardare al futuro con speranza che non sia soltanto vacua. Un engagement che si tiene quindi lontano da ideologie e astrusità di parte, ma che dà voce a chi non ce l’ha e chissà se potrà mai averla.
Nei versi dell’autore, tra le sconfinate e inermi masse di diseredati, un posto del tutto particolare occupano i bambini, a partire non a caso da quel bambino con la chiave che vagabonda da un posto all’altro e parla a nome di tutti i figli di ogni angolo di mondo, di ieri, di oggi e degli anni che verranno, di quelli che noi stessi siamo stati una volta e di cui non dobbiamo perdere memoria, nemmeno quando si fa sera.

Una silloge, questa di Gavino Puggioni, che merita di essere conosciuta, letta, riletta e apprezzata per la musica delle sue parole, per il profondo senso di umanità in esse contenuto e per il messaggio di speranza, non meno profondo, che infine ci regala.


Laura Vargiu

Copyright sull'Ecce Homo sfigurato


 
Si aggiunge una seconda puntata, alla vicenda di Cecilia Gimenez, l’anziana signora che, l’estate scorsa, con la pretesa di restaurarlo, aveva deturpato l’Ecce Homo di Elias Garcia Martinez, un affresco conservato nel santuario del paesino (500 anime) di Borja.
La vicenda aveva fatto il giro del mondo  - ne ho scritto anch’io in un altro blog – e la signora con velleità artistiche era stata ridicolizzata, se non linciata metaforicamente, in ogni lingua. Ma la storia ha interessato e continua ad attirare migliaia di turisti a Borja, e un fiorente merchandising è cresciuto in conseguenza a questo fatto,con raffigurazioni dell’Ecce Homo “restaurato” vendute su tazze,magliette,custodie per cellulari,accendini. Cecilia Gimenez ha così rivendicato il copyright e chiesto al comune di Borja l’ottenimento la una parte di profitti derivanti da quelle vendite. L’accordo raggiunto con il comune di Borja prevede che il 49 per cento degli incassi vada a lei.

Insomma, dopo il danno, la beffa. Io avrei dato alla gentile pseudo-restauratrice, una multa equivalente, perché un danno di siffatte dimensioni non merita d’essere premiato.
E’ proprio vero che il mondo sta girando alla rovescia.


Danila Oppio

mercoledì 28 agosto 2013

LA POESIA E' UNA GRANDE POTENZA


La poesia è una grande potenza.
Si estende per miglia e per anni,
maestosa,
                 severa,
                              impassibile,
spargendo una luce tranquilla.
Ha strutture imponenti,
                                      strutture minuscole,
steccati di menzogne, boschetti di bontà,
ingenue piante oneste,
tossici fiori azzurri.
Quanto più ci si innalza,
                                         più concreti
sono i frutti del suo grande travaglio -
città che austeramente si sollevano
sul tramonto minuto dei sobborghi.
Sono la scialba fiamma delle stelle,
fra un ticchettìo di ferri di cavallo
e di gocce, Lèrmontov nereggia
con tragici contorni di palazzi,
con l'ironia di silenziosi vicoli.
Villaggio fra betulle quiete, Esènin
guarda lontane strade mattutine.
La città Majakovskij
                                  ronza,
                                             fuma.
La città Blok, severa e appassionata,
è coperta di neve. Nei giardini
folti, negli orti annegan le pianure,
rombano le foreste senza viòttole,
e in lontananza
                          fra la nebbia appare
la previsione di città future...


Evgenij Evtusenko
da  Poesie, a cura di A.M. Ripellino

Einaudi, Torino 1961

martedì 27 agosto 2013

PANACEA



parole
vecchie e nuove
vanno libere
sulle ali del tempo
verso spazi
delineati
che riempiono
con soffi di sole
e canti di uccelli

parole...
quelle scritte
curano le ferite

Giovanni De Simone
(Inedita)

sabato 24 agosto 2013

Quel senso della vita

Appunti e riflessioni


Per tanto tempo mi sono arrampicato nei piani alti delle mie memorie, ricavandone, pure, file sfilacciate di ombre mnemoniche, fino al fastidio dello spirito, al quale non si può comandare
nel suo ramingo andare.
Eppure questa età non mi vieta, anzi, non mi nega mai. quel piacere che provo quando, apparentemente solo, ritorno in quei viali della mia infanzia, veri e anche surreali, quasi metafisici, quando la vita aveva altro significato, come il suo senso che ne scandiva le giornate, le ore, i giochi, quelli di una volta, impregnati, tutti, dai profumi di una terra che si offriva al sole, alla luna, ai duri inverni, alla leggiadria della primavera, ai meriggi assolati delle lunghe estati, alle malinconiche giornate d'autunno.
  Mi verrebbe da scrivere mondo antico, ricordando o emulando i tempi di Fogazzaro, ma lo sfioro soltanto, perché, quello mio, davvero, è ed è stato quel piccolo mondo antico da cui ho tratto vita e vitalità, da cui ho tratto, molto dopo, ansie e dolori , coccolati, tuttavia, da una coltre calda  e indistruttibile del mio pensiero, divenuto essenza. Essenza colma di mille e un cassettino dove la memoria è andata a pescare i suoi segni coi suoi sogni, pagine scritte mentre il sole bruciava le messi o i fulmini abbattevano l'ultimo degli alberi più vecchi, naturalmente.

Ed ora, al contrario, mentre apro le porte della senilità, mentre ripercorro, a mo' di gambero, il mio tempo passato e quasi remoto, mentre tento di fare addizioni a tutte le sottrazioni subite, mentre credo di trovarmi, solo, al bivio di questa vita, mi chiedo se io o il mio alter ego sono in grado di continuare, in questo guazzabuglio di disordine umano dentro il quale, non volente, mi sono ritrovato. Non riesco a svincolarmi da questa rete, invisibile ed inossidabile, perché il mondo che mi ospita vive un'altra vita, si nutre di altri valori, ama l'indifferenza, è armato d'arroganza e s'empie, ma ha già debordato, di un vocabolario nuovo che lascerà cicatrici dolorose  alle future generazioni le quali, spero, non abbiano mai a nutrirsene.

Il brusio di sentimenti, le esclamazioni di gioia per un oggetto nuovo o ritrovato, l'interesse al bene comune, come la grande brocca o la giara da cui usciva acqua per tutti, l'abbraccio universale alla verità, all'umiltà, alla dignità umana, al rispetto di chi lavora e di chi non lavora e non ha i mezzi per sopravvivere, ebbene, questi sentimenti sono venuti a mancare, sono divenuti pezzi di granito dove, una volta, si poteva scavare, ora non più.

Si viaggia per la conoscenza (anche per la virtù?), per il piacere di sapere, ma si viaggia anche per fare e portare la guerra, anche quella odiosa delle religioni, molto diversa da tutte le altre.
Si naviga per mare ed oggi anche per terra, per cui anch'io sono diventato un navigante, statico e virtuale e me ne prendo tutta la responsabilità, poiché anch'io ho seguito una moda, un modus vivendi dal quale non bisognerà, mai, farsi sopraffare. E comunque questo navigare non mi appaga, essendo impreparato a tutto ciò che giornalmente cambia e mi crea quasi confusione, mi fa diventare ateo, non credente verso l'anima di questa terra che ha perduto la sua unicità, il suo mistero, questa terra che sta perdendo la sua storia perché la stanno ricostruendo in provette di un futuro che agli uomini restituirà ben poco.
Quel tanto di buono che s'era creato si sta sfaldando in altrettanti pezzetti di terra dove non si sa più cosa fare o rifare. Si distrugge e basta, ben sapendo che un'altra arca di Noè non avrà più ragion d'esistere.

Forse, in un futuro lontano, il Polo Nord e il Polo Sud,  si incontreranno ma non avranno mani e braccia per stringere amicizia.
La Terra, quella nostra, abita nuda al loro centro e si surriscalda  non tanto per l'amore quanto per l'odio che vi si versa, che diventa fuoco e fiamme, pericolosi anche per i ghiacciai, una volta eterni.
E allora ci sarà un'altra storia.

Gavino Puggioni

  

venerdì 23 agosto 2013

FRATELLO





Hai capelli d'inverno
occhi
lucenti d'onice.
Riaffiorano
ancor sulle ciglia
aquiloni bianchi e
rocchetti intagliati
d'infanzia.
Partisti
un giorno e
sulla panca
in fredda cucina
ti scrivevo 
lettere
su fogli di scuola.
Ora 
più non corriamo
nella campagna
la nostra casa è
letto di strada.

Graziella Cappelli

giovedì 22 agosto 2013

POLYUSHKA POLYE - ORIGINAL VERSION


suonata dall'Armata Rossa

POESIE, PATATE





La parola, definendo,imbavaglia; il verso tracciato
ne estromette altri più nebulosi e prospera, assassino,
in strutture dove i versi immaginati

sono solo presenze spettrali. Solidi come patate,
come pietre, senza coscienza, parola e verso durano,
se gli dai spazio. Non è questione di rozzezza (benchè

il ripensamento spesso vorrebbe un cambiamento
in delicatezza, in eleganza), quanto il fatto
che mi truffano sempre del dovuto; di più

o diversi, continuano a lasciare insoddisfatti.
Non celebrata in versi, non dipinta, la patata
accumula i suoi bruni bitorzoli su una pagina
infinitamente superiore; e così pure la bruta pietra.



Sylvia Plath
da Opere, a cura di Anna Ravano
Mondadori, Milano 2002


Aforisma


Love in my eye




I'm more in love with the idea of loving you than being in love with you



Estoy más enamorada de la idea de amarte que (estar enamorada) de ti


Più che di te, sono innamorata dell’amore che ho per te!

Aforisma di Danila Oppio

burn in blue



Questa canzone fa parte della colonna sonora del film FRIDA, che narra le vicende della grande pittrice messicana Frida Kalho, magistralmente interpretata da Salma Hayek.
Consiglio vivamente la visione del film.
Vi si ammirano le opere dell'artista, si respira un po' di Storia (lei è stata per breve tempo l'amante di Trotsky, prima che venisse colpito a morte proprio in Messico, dove si era rifugiato).

martedì 20 agosto 2013

Ferite insanabili


Quando un uomo
Stolto e insensibile
Ferisce una donna
Non merita rispetto
Né amore, né voce

Gli serve restar solo
A meditare con serietà
Sul passo falso
Che, appena compiuto
L’ha fatto inciampare
E troverà il modo
Di por rimedio all’istante
Se ancor fosse possibile
Rifare il percorso
Contromano, nel traffico
Della strada ferita
Da colpi inferti sul selciato
Buche profonde
Piene di melma e fango

Chissà, forse
 potrebbe esistere
Un viottolo segreto
Stretto e scosceso
Da dove riprendere
Il cammino interrotto
O ritrovarsi alla fine
Di un vicolo cieco.

Danila Oppio
Inedita

  • Succedeva anche in Italia, al tempo dei miei nonni, quando per avere l'acqua in casa, occorreva prenderla alla fontana, con secchi pesantissimi. Nessun uomo lo avrebbe mai fatto perché, sostenevano, sono lavori da donne! E anche portare fascine di sterpi, per accendere il fuoco del camino, sempre lavoro da donne. Una domanda: quale sarebbe stato un lavoro da uomo? Fare la calzetta, lavorare all'uncinetto, confezionare torte?
    8 ore fa · Mi piace · 2
  • Piera Maria Chessa Hai ragione, Danila, una sorta di orgoglio puerile che non porta e non porterà mai a niente di costruttivo. Grazie per questo stimolo alla riflessione. Ciao!
  • Danila Oppio Di nulla! Gli uomini padroni, e spesso lazzaroni, ci sono sempre stati e sempre ci saranno, ma vederne uno, come nella foto, che fuma la sigaretta, lasciando il carico pesante sulle spalle della sua "schiava" - ed uso questo termine perché altri adeguati non ve ne sono - mi fa male.
    3 ore fa · Mi piace · 1

La poesia è nata dalla visione della foto che Piera Maria Chessa ha postato su FB e alla sua vista, ci ha portato a commentare come da testo qui sopra. Nessun riferimento a persone di mia conoscenza che, per fortuna, non rassomigliano a quest'uomo, che se la fuma beatamente, mentre la donna è piegata dal peso delle fascine.

sabato 17 agosto 2013

MARISTELLA ANGELI CI INFORMA

Spero non vorrete perdervi l'evento dell'estate!
Venite a visitarla!
Fatemi sapere quando verrete, così ci sarò anche io.
Un abbraccio
Maristella

Sono stata ammessa all’importante evento artistico, con due miei dipinti: “L’albero dei ricordi” e “L’albero della spiritualità”.
La manifestazione artistica, ritenuta tra le più importanti della provincia, si svolgerà dal 24 agosto al 1 settembre 2013 nella prestigiosa Galleria “Gli antichi forni” a Macerata (MC). Saranno presenti artisti di nota fama.
L’inaugurazione si terrà il 24 agosto alle ore 17,30.
Organizzazione: Delegazione della Confcommercio Imprese per l’Italia delegazione di Macerata, Assessorato alla Cultura di Macerata e la Camera di Commercio.
Le opere ammesse saranno inserite in un prestigioso catalogo a colori.


martedì 13 agosto 2013

Presentazione della silloge di Gavino Puggioni a Castelsardo

Castelsardo, 7 agosto 2013
Sala XI del Castello dei Doria


Riporto integralmente l’esegesi che lo scrittore-poeta Giuseppe Tirotto ha voluto fare, parlando  della  mia silloge “Nelle falesie dell'anima”, durante la presentazione della stessa.


Quando qualche mese fa l'amico Gavino Puggioni mi ha parlato della sua ultima raccolta poetica e del piacere di poterla presentare qui, a Castelsardo, luogo nel quale ha da sempre coltivato “affinità elettive” per svariate ragioni, siano professionali, d'amicizia o di affetti, ha anche scandagliato, con molta discrezione, la possibilità che fossi io ad accompagnarlo nel disvelamento della sua opera, in questo pittoresco antico borgo nel quale io sono nato e dove, eccetto qualche piccola parentesi, ho sempre vissuto.
Attestata la mia disponibilità, mi ha fatto omaggio del libro che mi ha colpito immediatamente per il suo titolo accattivante, “Nelle falesie dell'anima”.
Colpito perché presentava già la coincidenza di richiamare un elemento essenziale e caratterizzante del titolo della mia prima raccolta di poesia “ La forma di l'anima”.
Quell'anima che tanto intriga poeti, scrittori, filosofi e teologi, ognuno per il proprio punto di vista, per la propria idealità, per la propria fede.
La forma, appunto, ed io, partendo da una singola lirica dove provavo a contenere l'anima in una dimensione finita, l'ho estesa, poi, al titolo dell'intera raccolta, anche perché lo stesso titolo mi aveva portato fortuna, facendomi vincere un premio importante in conseguenza del quale ho attraversato l'oceano, planando alla Fiera del Libro di L'Avana, a Cuba, dove si sarebbe svolta la premiazione, avendo, questo Premio vinto, valenza Mondiale. Un'esperienza irripetibile ed arricchente per il viaggio verso un continente lontano e per il contatto con la poesia internazionale, specie quella sudamericana, così similare alle nostre tematiche sarde.
Titolo, posso dire, azzeccatissimo, anche se, per lo più, noi poeti, il titolo lo diamo ad opera finita, in quanto, dopo l'incipit, non immaginiamo neppure dove la poesia stessa ci porterà e molto spesso lo diamo inconsapevolmente.
Ciò, a proposito de “La forma di l'anima”, ho potuto constatarlo lettura dopo lettura da parte degli altri, perché quella forma di anima, che nella mia idea originaria era semplicemente la forma del mio paese, Castelsardo, già nella motivazione di quel Premio Internazionale, veniva stravolta ma allo stesso tempo le calzava perfettamente, tanto che ogni volta che veniva commentata sembrava che fosse riscritta di nuovo, rendendo palese che la poesia sfugge a qualsiasi classificazione preordinata, così come l'anima non può essere costretta in nessuna forma.
A dirla con il professor Nicola Tanda che, commentando solo il titolo, ebbe a dire: La forma dell'anima? Eh! cosa da niente è....

Ecco, se io, consapevolmente o inconsapevolmente, mi sono azzardato sulla Forma dell'anima, l'amico Gavino Puggioni l'ha avventurata tra le falesie, rocce come si sa impervie, spesso inaccessibili, a volte inviolabili.
Magari, e questo lo potrà dire solo lui, queste falesie avranno pure un riferimento materiale e geografico, nel senso che può essersi ispirato alle familiari falesie di Balai, a quelle celebri di Capo Caccia o a quelle ardite e selvagge dell'Ogliastra o ancora a quelle ciclo-televisive delle Dolomiti, falesie morte o inattive queste ultime, a differenza di quelle elencate prima  in quanto vive, perché battute direttamente dal mare nostrum, sardo.
A parte la differenziazione scientifica, io sono però certo che le falesie di Gavino siano falesie metaforiche, falesie connotative su cui l'anima inquieta, di lirica in lirica, s'impenna e precipita e di verso in verso si libra, plana e scende in picchiata.  Non può essere che così se si leggono le poesie della raccolta, strutturata su quattro sillogi, dove una delle parole più ricorrenti è indifferenza, una vera e propria ossessione, per Gavino, l'indifferenza, quasi che egli  aborrisca  questo stato di inerzia, giacché la vita è un meraviglioso miracolo a cui ogni essere vivente, specialmente l'uomo,  debba prendere parte con tutto sé stesso. Il sacrilegio è attraversare la vita da spettatore e questo mi richiama una celebre poesia del poeta turco Nazim Hikmet, in una struggente poesia-lettera dedicata al figlio, dove lo esorta a non passare su questa terra da inquilino  ma di lasciare un segno del proprio passaggio, di amare tutti gli aspetti della vita stessa, ma soprattutto di amare l'uomo.

Credo che chi leggerà il libro di Gavino, tanto di questo troverà, già questo concetto prima che in versi lo esprime lui stesso nella prefazione Perché scrivo, dove a corollario delle motivazioni per cui scrive, esalta la Vita che deve essere vissuta in ogni sua piega, per essa scrive come un eterno innamorato, in essa rimargina le ferite credute inguaribili, concludendo con l'esclamazione:

Oh! cosa non si farebbe per la Vita!

E già! cosa si potrebbe fare se non si avesse fiducia nella Vita?

Dubbio che Gavino non si pone, se è vero che l'altra parola ricorrente nel libro, quasi a bilanciare la detestata indifferenza, è speranza. Speranza nella vita, nell'umanità, nel futuro, sebbene questo sia stato tradito, violentato, violato da una civiltà avanzata putrida e maleodorante che nel suo furore consumistico ha lordato l'innocenza originaria. E questo è il concetto lorchiano del regreso, del ritorno alle origini, alla purezza del ventre materno, perché chi va avanti, come l'acqua corrente, s'intorbida e non vede le stelle.

Sarà per questo che le figure più significative della silloge siano i bambini, i simboli della purezza assoluta, a cominciare da quello che apre la raccolta, che vorrebbe aprire un mondo sicuramente migliore, sicuramente più giusto, con quella chiave simbolica che stringe tra le mani, un mondo dove far sciamare i milioni di bambini senza sorte, quelli che le statistiche e le agenzie di rating  non contemplano. I bambini del Darfur, delle bidonville planetarie, i bambini orfani, delle guerre, dei soprusi, della fame.

La poesia di Gavino è una poesia particolare, con accostamenti di termini audaci, a volte talmente distanti e opposti che fanno sprizzare quella scintilla che Ungaretti definiva la vera poesia!
Talvolta vi si riscontrano echi surrealistici, in altre la vitalità espressionista delle tinte forti, esagerate e, in questo contesto, egli lascia fluire nelle sue liriche emozioni dense, pervase da un misto di speranza e di rassegnazione, in una atmosfera coinvolgente, sorretta dalla consapevolezza dei valori della vita in cui crede fermamente.
E così sono anche spiegate le umane emozioni del sottotitolo che, poi, tanto sottotitolo non è!

Come dicevo, questo generoso libro di Gavino è strutturato su quattro sillogi differenti,  oltre che per le tematiche. anche per la misura.

La prima, la più capiente, che con 34 liriche potrebbe costituire un libro a sé stante, titolata  Del senso della vita,  è aperta dalla poesia prima accennata, Il bambino con la chiave, che sembra proprio cercare la serratura giusta su cui far scattare il chiavistello del senso della vita. Le altre liriche che seguono sono accomunate da quella ricerca corale, per capire e cercare di spiegare il senso della vita secondo la prospettiva del poeta.

La cifra distintiva della seconda silloge è il silenzio, già disvelata nel titolo ossimorico: Messaggi di silenzio.
Messaggi che solo il silenzio sa trasmettere, che discendono i gradini del tempo, che volano su altri pianeti, che gridano negli occhi dei bambini del terzo e quarto mondo, se qualche volta il quotidiano ne parla, che tacciono, nei  nostri, perché senza senso, spesso rivolti  all'effimero.

La terza silloge è costituita da Pensieri vagabondi, pensieri che spaziano il mondo conosciuto e quello immanente dell'irrazionalità. Dal Darfur all'Iran, dalle acque che non riusciranno mai a lavare i misfatti dell'uomo ai cieli vuoti quando le madri urlano di dolore per i figli che alzano le mani per la paura.
Pensieri che si fanno rimembranze, rivivendo giochi di bambini o scampoli di vita studentesca, quando ancora la televisione non c'era. Pensieri randagi, pensieri picareschi tra Carloforte e l'Argentiera, tra un risveglio e una follia, pensieri di oggi, di ieri e di domani, perché in fondo la vita è bella e merita di essere vissuta!


La quarta silloge, già dal titolo E si fa sera, prelude alla stagione decadente della vita.
Ogni lirica, qui, diventa così il resoconto del passato, i toni via via crepuscolari, non tanto in senso cronologico o esistenziale quanto in termini letterari, poiché emergono le tematiche e gli stilemi della corrente letteraria di fino Ottocento, primi del Novecento.
In effetti il Crepuscolarismo è la versione italiana del più celebrato Simbolismo francese, il quale, rifiutando ogni forma di poesia aulica, eroica e celebrativa, si propone di cantare le piccole cose della vita.
Ciò non significa che la poesia sulle piccole cose quotidiane non sia alta. Anzi, spesso ha esiti altissimi; d'altronde, cosa c'è di più eroico della quotidianità che accomuna miliardi di persone?
Così, eccoli quegli esiti, nei versi di Gavino: gli sprazzi di vita quotidiana, i flashback di un antico mondo contadino, con falci, aie e covoni, immagini di sbiadite case di vacanze; ecco riaffiorare, con i ricordi, l'universo interiore dell'innocenza bambina.
Emblematica, in questo senso, la poesia  Diario breve di giorni lunghi, un vero e proprio diario di vita che, soffusamente, ripropone l'infanzia mitica nel luogo mitico dell'anima, il mare di speranza affrontato con una barca che ha consunto e perso pezzi nell'attraversarla, e ,se pure in disarmo, ha ancora spazio per ricevere carezze, ancora di speranza e di amore.

Ed è proprio questo, forse, il messaggio che Nelle falesie dell'anima promana.
In qualunque modo si cerchi o si dia un senso alla vita, vuoi con messaggi gridati o silenziosi, vuoi attraverso pensieri  fermi, austeri  o vagabondi, alla fine, sempre si farà sera, inevitabilmente.
Sarà, allora, importante verificare se nella nostra stiva malandata ci sia ancora spazio per ricevere quelle carezze di cui ho appena detto.


Giuseppe Tirotto