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Questo blog è di Danila Oppio, colei che l'ha creato, e se ne è sempre presa cura, in qualità di webmaster.

venerdì 11 maggio 2012

COME UN'ARPA VERDE


                                                     
Come un’arpa verde m’inerpicavo verso il sentiero delle aquile,
ero pieno di sole e di ciliegie rosse, sembravo un usignolo,
scovavo le cicogne della notte e m’imbrattavo l’anima di rimmel,
ripercorrevo il fiume della vita e fu ai suoi bordi che vidi anche la morte.

Era assiepata all’angolo del male e proferiva versi di un demonio,
aveva occhi di luna cieca enormi come il possente ventre di un alano,
prendeva la mia mano e la baciava fino a farla diventare viola,
la sua tremenda bocca diceva l’ultima parola, non dava scampo al sole.

Ed ero un uomo inerme, un uomo soffocato da pensieri deliranti,
allora ricordai quel tempo dolce dei fichidindia dalla pancia gialla,
di quelle spine dentro i piedi scalzi, della mia infanzia scaltra,
allora ricordai la stella  immensa che m’indicò il senso dei miei giorni.

E piansi per non aver seguito il vento del destino, la strada già tracciata,
per non aver baciato quella fata che m’inseguiva nei miei sogni bianchi,
per non aver bevuto a quella fonte dove il cerbiatto astuto si specchiava,
dove una rana verde decifrava tutte le strane formule dei rospi.

E fu così che giunsi fino al mare dove altri uomini piangevano in silenzio
ed abbracciavano enormi pesci albini vestiti da dannati di Mauthausen,
nel centro della luna il viso triste di Adolf Hitler vestito da Madonna,
più in là nell’universo sconsolato la grotta di Betlemme piena di sangue.

E sangue, ancora sangue, ancora altre figure dipinte di pus di embrione nano,
e ancora sulla riva la pillola RU286 già pronta a trasformarsi  in una stella,
nel centro della storia il viso furbo di Erode incompreso precursore,
il grembo ormai ridotto ad una larva dove imperversano le cellule di Venter.

Ancora fiabe assurde, astuti ideatori della vita che sfiancano gameti deportati,
ancora mani sporche di ovociti che applaudono al teatrino della morte,
ancora torte anemiche di isterici scienziati confusi alla stregua di Pilato,
ancora  feti  luridi nel campo pullulato di pecore dagli organi incompleti.

Come un’arpa verde m’inerpicavo verso il sentiero degli improbabili cloni,
ma non trovavo il seme della vita, soltanto nidi vuoti con uova di pulcini violentati,
soltanto paglia sporca, soltanto adolescenti senescenti con l’anima salvata nel desktop,
soltanto fari spenti nella notte, soltanto sogni orrendi masterizzati senza pentimenti.

E fu così che accarezzai l’aurora implorandola di abbandonare il cielo,
ma il vento che soffiava contro senso  era tremendo  e soffocò la mia flebile voce,
ero un naufrago assurdo nel mare minaccioso dove danzavano sirene lussuriose,
il loro canto erotico mi tormentava il cuore e finsi di morire fra le onde.

Raggiunsi una scogliera dove guizzavano terribili avannotti di byte copulanti.

Ed ero un uomo inerme, un uomo soffocato da pensieri deliranti.

Antonio Rossi
                                                    

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