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mercoledì 11 aprile 2012

Ritorno della narrazione orale


(Questo l'ho scritto per Repubblica di oggi, che ha dedicato uno speciale al fenomeno del ritorno della narrazione orale)
Esiste un modo molto più elegante e meno invasivo di “come stai?” per salutarsi dopo un distacco tra amici, ed è la formula magica “cosa mi racconti?” Domandare a qualcuno di fare narrazione di sé come gesto di benvenuto è il lascito di un tempo in cui l'oralità era costruzione di relazioni e spazio naturale di incontro. Quella narrazione non si originava da singole persone che la facevano, come avviene oggi in forma ridondante con la scrittura e il falso mito della sua ispirazione, ma era invece la risposta a una sollecitazione esterna, quel “cosa mi racconti” che aveva il potere di battezzare narratore chiunque, perché prima della parola presupponeva l'esistenza di un orecchio già disponibile all'ascolto.
La grammatica dell'oralità però ha bisogno di spazi precisi, pensati per essere di tutti o almeno di molti: piazze, panchine, bar, usci di porta, focolari, ma anche luoghi di lavoro comune, sono stati degni antenati delle virtualità dentro cui ci piace pensarci connessi adesso. Il tempo in cui questi spazi erano luoghi vivi non è così lontano, anche se la scrittura, con l'arroganza tipica delle tecnologie cannibaliche divenute di dominio popolare, ora pretenderebbe di essere qui da sempre.
È difficile spiegare a un bambino che c'è stato un passato in cui la maggior parte della gente non scriveva e non leggeva, ma quel passato non è più lontano di tre generazioni: le scuole popolari sorsero proprio per far fronte al numero impressionante di analfabeti che ancora si contavano in Italia nel secondo dopoguerra. E però a quel bambino bisogna anche avere il coraggio di dirgli che non sapere né leggere né scrivere non vuol dire essere senza cultura: nel tempo in cui la scrittura era un bene di pochi, l'oralità era invece un risorsa per tutti e sapeva costruire trame comuni di relazione e di consapevolezza.
Il racconto orale era soprattutto lo spazio della memoria condivisa, che sta all'oralità tanto quanto la carta sta alla scrittura. Sono sicura che perdere la grammatica della narrazione orale è stata la mutazione antropologica alla base anche della nostra perdita di memoria comune. Ne sono sicure anche le decine di persone-libro dell'associazioneDonne di Carta, che in tutta Italia imparano i libri a memoria e poi vanno in giro nelle piazze a ripeterli ad alta voce, costringendo l'arroganza elitaria della scrittura a farsi di nuovo voce e tornare per strada. Sentirle per la prima volta in una piazza di provincia qualche anno fa ha confortato la matrice orale del mio raccontare. Lì è nato il bisogno di trasformare in audiolibro quello che scrivevo e lì ho capito anche che alla base della narrazione non c'è la storia, ma la disponibilità all'ascolto, così spesso assente nei luoghi rumorosi della rete, dove non sempre è chiaro che essere tutti connessi non vuol dire avere anche una trama in comune.
Michela Murgia

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