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Questo blog è di Danila Oppio, colei che l'ha creato, e se ne è sempre presa cura, in qualità di webmaster.

sabato 21 aprile 2012

A MIO FRATELLO GIAMPAOLO



 Hai vissuto come hai voluto, lontano da noi,
dalle nostre normali abitudini, belle o brutte.
Non ci sono state colpe.
Solo tue volontà, tuoi sogni per l'ignoto, trasformati
in solitudini, dolci o amare, che pagavi a caro prezzo.
Tu ci dicevi che stavi bene.
Eri allegro come un bambino, quasi sempre,
nei nostri incontri  fugaci e mendaci.
Le nostre domande erano inutili, anche quelle più dure,
piene di preoccupazione e di affetto per te.
Il tuo sorriso disarmante trascendeva
da ogni nostra negatività.
La tua fatica a parlare di verità, di amore,
che altri non ti hanno mai dato, era evidente.
A te bastava di godere di momenti anche lunghi, ma erano fatui,
opalescenti e confusi e rendevano la tua solitudine
unica, esclusiva e tu ci sguazzavi.
Sei stato sempre solo, anche quando
credevi d'esser in compagnia.
Lo so, che questa l'hai cercata, con magri sotterfugi
ai quali ti eri abituato. Che dopo erano pranzi e cene
con “amici”, dicevi tu; ma eri troppo preso
dall'ebrezza di un piacere serotino,
coperto da quelle ombre grigie
delle quali non sei mai riuscito a liberarti.

In trent'anni non ci hai dato uno straccio di risposta
a tutte le nostre domande.
Ci hai lasciato nel vuoto più infinito,
in un dolore immenso che tu stesso ci hai procurato,
incosciente ai richiami che ti facevano pure
altre persone e non solo noi.
Non hai curato il tuo spirito, il tuo atteggiamento
a proporti, e sì che di gente ne hai conosciuta!

Ma io, noi, tuoi fratelli, tuoi nipoti, sappiamo, perché siamo coscienti,
del tuo antico dolore, dei tuoi pasticci,
anche sentimentali, compreso quello ufficiale, di marito.
Quel dolore, che forse tu non avevi ancora sentito,
é stato come una cambiale a lunga e sconosciuta scadenza,
che ti sei trascinata per decenni, ma con una data sicura.

Non te ne accorgevi, caro mio, perché il mondo
(piccolo piccolo) da cui credevi di essere avvolto
era fatto di carta straccia che prendeva fuoco
ogni volta che tu accendevi una di quelle nostre maledette
sigarette.

L'effimero si era impadronito di te.
Ma la tua vita, come la nostra, é fatta di colonne di granito
sulle quali dobbiamo stare, in equilibrio pure,
pena il precipizio.
Quel baratro ora si é aperto e tu ci sei entrato senza un graffio,
forse non hai sofferto
e se é vero, meglio così!
Ci hai lasciato nel bordo, ciechi e muti
e non riusciamo a metterci un tappo.

Le lacrime, che pure arrivano, non servono a nulla.
Si dissolvono nel niente
e non riescono, purtroppo e nemmeno,
a calarsi su un lembo del tuo corpo.

Ora, e sono passate quasi ventiquattrore,
forse stai meglio perché non ti farai più male;
non penserai più, non sarai costretto a rispondere
a quelle nostre domande.
Ti sentirai più libero, ne sono e ne siamo sicuri,
e non avrai più pentimenti o ripensamenti.
E' vero, tu non eri abituato a pensare.
In quell'altra vita, invece, potrai fare di tutto,
tanto nessuno se ne accorgerà!
E in questa tua libertà noi ci sentiremo più legati,
meno liberi, perché tu ci hai costretto a questo dolore
e non ne avevamo bisogno.

Queste parole che ti ho voluto dedicare
non sono soltanto mie, sono di tutti noi,
fratelli e nipoti, e ti ricorderemo così come eri,
come volevi per forza apparire,
con la tua bonomìa, la tua disponibilità infantile,
la tua poca attenzione alla tua persona,
che, giocoforza, ora che non ci sei più,
ti dobbiamo perdonare!
Ciao!

Gavino Puggioni
edita  Nel silenzio dei rumori





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