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Questo blog è di Danila Oppio, colei che l'ha creato, e se ne è sempre presa cura, in qualità di webmaster.

sabato 31 marzo 2012

Los poetas andaluces de ahora - Água Viva

PACE IN TERRA, PACE SULLA TERRA TANTO MARTORIATA!

Il lamento del poeta 


Qué cantan los poetas andaluces de ahora?
Qué miran los poetas andaluces de ahora?
Qué sienten los poetas andaluces de ahora?

Cantan con voz de hombre
pero, dónde los hombres?
Con ojos de hombre miran
pero, dónde los hombres?
Con pecho de hombre sienten
pero, dónde los hombres?

Cantan, y cuando cantan parece que están solos
Miran, y cuando miran parece que están solos
Sienten, y cuando sienten parece que están solos
Qué cantan los poetas, poetas andaluces de ahora?
Qué miran los poetas, poetas andaluces de ahora?
Qué sienten los poetas, poetas andaluces de ahora?

Y cuando cantan, parece que están solos
Y cuando miran , parece que están solos
Y cuando sienten, parece que están solos

Y cuando cantan, parece que están solos
Y cuando miran , parece que están solos
Y cuando sienten, parece que están solos
Pero, dónde los hombres?

Es que ya Andalucía se ha quedado sin nadie?
Es que acaso en los montes andaluces no hay nadie?
Que en los campos y mares andaluces no hay nadie?

No habrá ya quien responda a la voz del poeta,
Quien mire al corazón sin muro del poeta?
Tantas cosas han muerto, que no hay más que el poeta

Cantad alto, oireis que oyen otros oidos
Mirad alto, vereis que miran otros ojos
Latid alto, sabreis que palpita otra sangre

No es más hondo el poeta en su oscuro subsuelo encerrado
Su canto asciende a más profundo, cuando abierto en el aire
ya es de todos los hombres

Y ya tu canto es de todos los hombres
Y ya tu canto es de todos los hombres
Y ya tu canto es de todos los hombres
Y ya tu canto es de todos los hombres (bis)


Autor: Rafael Alberti

( poesia que serviu de letra para um conhecido tema do lendário grupo Aguaviva)


INGANNO


L’orizzonte
Dove lo sguardo
Non incontra
La fine

Mare e cielo, confusi
In un unico
Azzurro cobalto

L’onda
Che pare morire
Sulla battigia, si ritrae
Nel mare profondo

L’inganno dell’apparenza
Come miraggio
Su desertiche dune

Danila Oppio
Inedita

IL MISCREDENTE


- Credi in Dio?
- Chi é Dio? -
Così un uomo dall’apparente età di trenta anni rispondeva a don
Peppino, ogni qual volta questi gli faceva una domanda del genere.
Don Peppino, nella sua vita ecclesiastica, non aveva ancora incontrato
una simile persona, che lui tentava di portare alla religione di
Cristo.
Ma ormai erano due anni e più che i suoi tentativi finivano come
bolle di sapone, sebbene la speranza di una improvvisa illuminazione
divina lo avesse sorretto anche durante i periodi più sconcertanti .
Quel giovane aveva un nome strano. Si chiamava Totu e nei lineamenti
si poteva notare qualcosa di esotico, di fortemente diverso
dagli abitanti di quel luogo.
Abitante per modo di dire; egli veniva tra la gente soltanto a tarda
sera mentre, durante il giorno, spariva e non si sapeva ove andasse
a ficcarsi.
Alcuni, però, erano arrivati alla determinazione che vivesse dietro
la collina, dalla cui parte lo si vedeva spesso venire.
Totu non aveva amici né conoscenze. Tutti lo conoscevano ma i
tutti a lui erano sconosciuti, inesistenti. Unico che forse distingueva
era don Peppino il quale osava fermarlo e interrogarlo.
Degli altri nessuno aveva osato avvicinarglisi.
Ne avevano paura perché per loro non era uomo ma bensì spirito.
Gli occhi giallicci, gli zigomi sporgentissimi, il mento aguzzo e la
testa con radi capelli, dal corpo disuguale e dalle braccia corte, lo facevano
assomigliare ad un essere anormale, privo di qualsiasi consistenza
estetica.
Don Peppino si era sempre interessato a lui e tante volte l’aveva
portato in sacristia per capirne qualcosa di più.
Ma restava sempre un mistero, profondo mistero.
Nella Casa di Dio, Totu non faceva alcun atto ostile. Stralunato, si
guardava intorno tirandosi la giacca e stringendosi le mani.
E in quei momenti il reverendo aveva veramente paura.
Pensava al satanico spirito di quel poveretto e a quale ostinata
divinità fosse andato in possesso.
- Totu, credi in Dio? -
- Chi é Dio? - rispondeva. Quelle erano le sue parole.
Don Peppino, allora, lo lasciava uscire accompagnandolo alla
piccola porta e benedicendolo.

HO SCRITTO


ho scritto altri versi
e in questi mi son tuffato
muto meravigliato
assopito
e circondato da silenzi
che da sempre ho cercato

ho scritto altre parole
anima e corpo
vita e speranza
metamorfosi spezzate
pietra e fango
di un mondo immondo

che mi trascina
ahimè!
in quelle paludi
dove l'acqua non è acqua
dove l'erba non è erba
dove il cielo non è cielo

perché la mia terra è sporca

Gavino Puggioni
Inedita

SARDEGNA AMORE MIO

Questo è un blog prettamente poetico e letterario, nato per amore della scrittura, voluto da un sardo doc, il quale non può dimenticare il suo amore per la Terra dove è nato e nella quale ci vive. Pare giusto e doveroso ricordare anche una grande cantante, scomparsa da anni, sarda ed innamorata della Sardegna, con la sua canzone "Alghero". E perché non dare spazio anche a Geppi Cucciari, ottima attrice comica, di grande intelligenza. In questo blog troverete alcuni video musicali o di altro genere, sempre legati alla bella Isola!

Le invasioni barbariche - L'INTERVISTA A GEPPI CUCCIARI

ALGHERO - GIUNI RUSSO

venerdì 30 marzo 2012

Anna Melato - "Nuvole, nuvole" (1974)




Con questo blog, che gironzola tra le nuvole, e che riporta la poesia di Wizlawa Szimborska, titolata
NUVOLE, questa canzone scritta e musicata da Anna Melato, sorella dell'attrice Mariangela, ci sta a pennello. 

SENTIERI



 Sentieri di campagna
abbracciati
da rovi sempre verdi
e pungenti

abbracciati
da arbusti di more
coperti
da fichi d'India

zolle secche e dure
prima fango
di una pioggia
tanto attesa

viottoli profumati
di mirto
di erica
di bacche spuntate
naturalmente
e naturalmente
pronte a morire

natura e poesia
di una volta

Gavino Puggioni

L'IMPIEGATO

di Gavino Puggioni


Prima che vi presenti questo personaggio dal punto di vista interiore,
dell’anima, ve lo voglio descrivere da quello esteriore, assieme al
suo ambiente, in cui viveva da oltre dieci anni.
Era impiegato nell’ufficio postale di una città di provincia e svolgeva
le sue mansioni con meticolosa precisione, tanto che non pochi
ne rimanevano meravigliati. Meravigliati, si, perché era un ubriacone
di prima categoria. Ma di questo parlerò più avanti. Scapolo, viveva
in una pensione, nella lunga via La Marmora dai cui abitanti era conosciuto a
un miglio di distanza. Era, come si dice, un bonaccione e faceva amicizia
con tutti, anche coi bambini, che approfittavano della sua briachezza
per deriderlo, tra le risate generali. Vestiva sempre di un
completo scuro, di lana o leggero, e mai, per nessun motivo, durante
l’estate o l’inverno, cambiava quell’abito che aveva indossato il primo
giorno della nuova stagione. Non gli importava se diventava sudicio
o lucido; a lui interessava la camicia bianca, con colletto inamidato,
che faceva spicco fra tanto sudiciume. Il suo capoufficio gli aveva
detto e ridetto di presentarsi più decente ed ordinato, ma lui
rispondeva:
- Si, si, va bene! -
Ma i va bene andavano sempre male.
Aveva i capelli castano-scuri, brizzolati e impomatati di una speciale
sostanza oleosa, di cui i colleghi non riuscirono mai ad indovinare
l’essenza. Gli occhi erano fortemente celesti e a chi lo guardava,
sembrava un uomo continuamente malato e pauroso di non so cosa.
Nel complesso, però, quando non era ubriaco, tutti lo giudicavano
un uomo qualunque, comune, come tanti se ne incontrano per la
strada. E allorché un suo conoscente o amico gli manifestava la propria
soddisfazione per averlo incontrato sano e normale, egli ne gioiva,
esclamando con un sorriso più forzato che naturale :
- Si, si, va bene! - e si distraeva.
La sua pensione, una camera non tanto ampia, ma squallida e tenebrosa,
si trovava, come ho già detto, nella via La Marmora, una tra le più
antiche della città, e perciò vi dimoravano molte, moltissime famiglie
di anziani, piuttosto chiassose e civettuole. Dicevo della sua stanza,
che si trovava all’ultimo piano di un vecchio, decrepito palazzo, dalle
scale ancora in legno e assi pericolanti. Un armadio tutto tarlato,
un lettino logoro e una panca con due sedie mezzo sfondate, erano il
mobilio dell’impiegato Benedetto  (così si chiama il mio personaggio).

RICERCA





Ti ho cercato
in mezzo ai campi
arsi dal sole
nei sentieri appena
calpestati
fra gli alberi bruciati
e abbattuti dal maestrale

Ti ho cercato
nelle viuzze dei villaggi
fra il chiacchiericcio
di donne incanutite
anzitempo

Ti ho cercato
in riva al mare disteso
a volte muto
scrutando
fra le onde arrabbiate

Ti ho cercato
fra le stelle
l'azzurro azzurro
e quello cupo
ma non ti ho trovato
e forse
non ti troverò

felicità

Gavino Puggioni
Inedita

DELLO STESSO MARE


In una brumosa sera
Dove annaspo per non cadere
Uno spiraglio, un bagliore
Illumina la veniente notte.

Quella che fui
Si dissolve nella serale
Nebbia, e più non sono.

Una nota, poi dieci
E un concerto notturno
risuona nell’anima
scaturito dal nulla

I ritmi dei versi incrociati
Danzano un valzer sull’onda
Di un mare in burrasca
Che sulla battigia s’infrange

Sull’ala di gabbiano
Scrivo un richiamo
Che a volo radente
Porta alla riva lontana.

Dello stesso mare
Se tu sei una sponda
Io sono l’altra.

Danila Oppio
Inedita


giovedì 29 marzo 2012

MUSICA DA RELAX -FREE FLOATING



UNA PAUSA, PER UN MOMENTO DI RELAX, ASCOLTANDO UNA DOLCE MUSICA!

IL RUSCELLO




Tanta acqua è passata sotto i ponti
ed anche un grande fiume di sangue
Ma ai piedi dell'amore
scorre un bianco ruscello
E nei giardini della luna
dove ogni giorno si fa festa a te
questo ruscello canta addormentato
Quella luna è il mio capo
dentro cui gira un grande sole blu
E gli occhi tuoi sono questo sole


Jacques Prévert

DAL BUON SENSO DI GRAMSCI AL CAFFE' DELLA BOUVETTE DEI PARLAMENTARI CHE FA...SENSO



di Gavino Puggioni.
Siamo inondati, dalla mattina alla sera, da mille e una notizia che, a prima vista, ci meravigliano, poi ci interessano, la leggiamo e poi  diciamo – me l’aspettavo! – oppure il contrario – ma in che mondo viviamo! -
Quelle notizie, a volte, però,  ci disturbano, ci fanno cavalcare il sopra-pensiero, che non è uno stallone ma un filo esile esile collegato alle due sponde dei nostri sentimenti, quelle reali e quelle di cui faremmo a meno, pur esistendo.
“I marines USA si riprendono col cellulare mentre pisciano, soddisfatti, sui cadaveri di rivoltosi afghani, ammazzati due volte.”
E’ una notizia sconvolgente, che fa schifo, si può dire?, non tanto per l’azione in sé stessa, vigliacca, ma in quanto tale azione è portata a termine e documentata dagli stessi soldati della grande America, che sono in quel territorio asiatico “per portare e far crescere la pace, nel vomito di chi questa “pace” la vuole costruire con la guerra, perchè soltanto di guerra si tratta.
“I parlamentari italiani, della Camera e del Senato, da oggi pagheranno il caffè alla bouvette a 0,80 cent invece dei vecchi 0,60 cent. Il caffè aumenta anche per loro!”
Anche questa notizia è sconvolgente, solo da vomito, fa il solito schifo, ma non è drammatica come la prima.
Ho riportato queste due notizie a caso, per parlare del “senso comune” e del “buon senso”, argomento  che seguivo su radio tre, ieri, a proposito del nuovo libro di Ilvo Diamanti – Gramsci, Manzoni e mia suocera -.
Ne aveva parlato Gramsci nei suoi Quaderni del 1929, pensando, forse, ad una citazione del Manzoni che le accorpava entrambe, dicendo, allora: “il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune” La riporta anche R:Albanesi nell’ultimo dei suoi libri dedicato alla memoria.
Le due notizie da me evidenziate quale reazione, anche sentimentale, avranno suscitato in noi che le abbiamo lette o ascoltate? Sembrano un divertimento, uno sbadato pensiero a ciò che ci circonda, un’attenzione particolare oppure una constatazione di fatto, non casuale, legata alla quotidianeità della nostra vita?
Qui entrano in ballo quei due sensi, perchè il primo, il senso comune, si appropria delle nostre menti in maniera omogenea, tipo copiaeincolla del p.c., mentre il secondo, il buon senso, si ferma, vuol capire, vuole scivolare dentro la notizia, non solo, ma vuole saperne i particolari.
Il senso comune tende all’appiattimento, il buon senso tende ad eccellere e vorrebbe diventare normalità.
Quella normalità difficile da agganciare, ora più di prima, perchè anche il pensiero è diventato globale, grazie ai media, compresi quelli elettronici, vedi internet ed i suoi collegati.
E questo, secondo me, non è progresso della mente umana, direi il contrario, poiché la fa assuefare alla notizia, non la fa padrona della propria ratio da cui dipendono, dopo, parole e azioni.
“Il dire e il fare”, in ogni dove, è legato, purtroppo, al senso comune, ipso facto, come conseguenza immediata, privo di un sia pur labile sentimento; è slegato dal buon senso perchè questo costa fatica, perchè dobbiamo darci delle risposte ma rimandiamo, fino all’infinito, per poi non darne alcuna.
E allora aveva ragione il buon Manzoni pronunciando, non a caso, quella frase sopra riportata da I promessi sposi.

QUESTA TERRA


questa terra che piange
la mia
la nostra terra ormai
denutrita
spogliata
in bilico nell'abisso
di altri mondi
sconosciuti

questa terra
che non amiamo
e il cielo a spiare
gli uomini che la divorano
le armi
ma perchè le armi?
ma chi devono ammazzare
ancora?

le violenze
ma perchè le violenze?
i nostri bambini
le nostre donne
perchè vittime?
perchè questo dolore
anche lui globalizzato?
e il futuro?

questa terra
ancora piange
pare in ginocchio
forse prega
ma quale Dio prega?

un Dio per tutti?
quel Dio è uno
è solo
è unico

per l'umanità assetata

di vita e d'amore

Gavino Puggioni
Inedita

VEDO LA TUA ANIMA


Vedo la tua anima
In uno specchio riflessa
Desolatamente sola

Infrango lo specchio
In piccole schegge
Mosaici picassiani

La sua immagine
Cristallizzata
In multiple tessere
Di purissima luce

Danila Oppio
Inedita

INDOSSO IL BLU



 Indosso il blu del mare
e nell'alba improvvisa
gli occhi stanchi
e la pelle arsa
da fuochi lontani
salgo sul treno dei sogni
e non vedo nessuno

Scendo

Sento voci
che accarezzano il vento
gli alberi invece
si chinano
e le foglie volano
indosso il blu del mare
e divento trasparente

per essere

Gavino Puggioni
Inedita

NUVOLE



 Dovrei essere molto veloce
nel descrivere le nuvole -
già dopo una frazione di secondo
non sono più quelle, stanno diventando altre

La loro caratteristica è
non ripetersi mai
in forme,sfumature, pose e disposizione

Non gravate dalla memoria di nulla,
si librano senza sforzo sui fatti.

Ma quali testimoni di alcunchè -
si disperdono all'istante da tutte le parti

In confronto alle nuvole
la vita sembra solida,
pressochè duratura e quasi eterna.

Di fronte alle nuvole
perfino un sasso sembra un fratello
su cui si può contare,
loro invece sono solo cugine lontane e volubili.

Gli uomini esistano pure, se vogliono,
e poi uno dopo l'altro muoiano,
loro, le nuvole, non hanno niente a che vedere
con tutta questa faccenda
molto strana.

Al di sopra di tutta la tua vita
e della mia, ancora incompleta,
sfilano fastose così come già sfilavano.

Non devono insieme a noi morire,
né devono essere viste per fluttuare

Wizlawa Szimborska
Nobel per la letteratura 1996



mercoledì 28 marzo 2012

SPOON RIVER

Non potevo correre o giocare
da ragazzo
Da uomo potevo solo sorseggiare
dalla coppa . non bere -
perché la scarlattina mi aveva lasciato
il cuore malato
Ora giaccio qui
confortato da un segreto 
che nessuno tranne Mary conosce
C'è un giardino di acacie
di catalpe,e di pergole dolci di viti
là quel pomeriggio di giugno
al fianco di Mary
baciandola con l'anima sulle labbra
all'improvviso questa prese il volo.

I could not run or play
in boyhood
I manhood I could only sip the cup
Not drink
for scarlet-fever left my heart diseased.
Yet I lie here
soothed by a secret none but Mary knows
there is a garden of acacia
catalpa threes, and arbors sweet with vines
there on that afternoon in June
by Mary's side
kissing her with my soul upon my lips
it suddenly took flight.

Edgar Lee Masters
Il dipinto: il Bacio di Klimt

ViVIAMO, MIA LESBIA


Viviamo, mia Lesbia, ed amiamoci
e le chiacchiere dei vecchi troppo arcigni
consideriamole il valor d'un soldo bucato
I giorni possono tramontare e ritornare;
noi, una volta che la breve luce è tramontata
dobbiamo dormire un'unica notte eterna.
Dammi mille baci, poi cento,
poi mille altri, poi ancora cento
Poi ancora altri mille, e ancora cento.
Poi, quando ne avremmo fatte le migliaia
li rimescoleremo, per non saperne il numero
o perché nessun maligno possa
procurarci il malocchio, sapendo
che è così grande il numero dei nostri baci.

Gaio Valerio Catullo

La scultura Amore e Psiche di Antonio Canova è
custodita presso il Museo del Louvre, a Parigi.


Testo in latino 

II. fletus passeris Lesbiae

PASSER, deliciae meae puellae,
quicum ludere, quem in sinu tenere,
cui primum digitum dare appetenti
et acris solet incitare morsus,
cum desiderio meo nitenti
carum nescio quid lubet iocari
et solaciolum sui doloris,
credo ut tum grauis acquiescat ardor:
tecum ludere sicut ipsa possem
et tristis animi leuare curas!

CATULLO CATULLO -BREVE BIOGRAFIA Gaio Valerio Catullo nacque nell'84 a.C. a Verona da una famiglia di alto rango e mori all'incirca nel 54 a.C. Ventenne si trasferì a Roma dove formò un sodalizio con alcuni importanti poeti come Cinna e Calvo. L'unico avvenimento sicuro che avvenne nella vita del poeta fu il viaggio che egli compì in Asia Minore dove andò a visitare la tomba del fratello. L'evento cruciale della vita di Catullo fu l'incontro con una donna della quale il poeta si innamoro perdutamente e che nei suoi versi la decanta con lo pseudonimo di Lesbia;ma il suo vero nome è Clodia,sorella di Clodio e moglie di Quinto Metello Celere.


QUELLI DEL PONTE


di Gavino Puggioni.
Cariddi aveva appena smesso di rigurgitare un mare di acque, dove migliaia di pesci cercavano di salvare la propria pelle dalla violenza del suo respiro, anche se rischiavano, comunque e sempre, di andare a finire fra le numerose zampe tentacolari di Scilla, in apparenza mite. Questa, seppure mostro marino, credeva, perché si ricordava, di essere una bellissima fanciulla, innamorata di Glauco e delle sue gesta. A quest’ultimo, però,  aveva pensato Circe, la maga, che gliel’aveva tolto per sempre trasformandola, appunto, in un mostro dalle sei teste e dodici zampe.
Un giorno di fine estate Scilla invitò Cariddi nella sua enorme spelonca e lo pregò vivamente
di non agitarsi, di respirare normalmente in modo che in quel frangente di tempo le altre creature marine e i tanti naviganti si potessero riposare dalle fatiche che quel pezzo di mare procurava loro.
Cariddi promise di starsene buono e di ascoltare la sua dirimpettaia, tra curiosità e diffidenza
-         Allora, dimmi Scilla, cosa ti sta pesando sul tuo corpo, fino a chiedermi di modificare le mie abitudini che sono assai naturali? Pensa che ho avvertito anche mio zio Eolo perché si astenga dall’aiutarmi, con le sue raffiche assordanti e trascinanti! -
-         Cariddi mio – sospirò Scilla – non so come incominciare a dir la verità, poiché questo fatto
-         di cui ti voglio parlare è motivo vecchio, molto vecchio, che risale agli anni ’50-’60 del secolo appena passato e, forse tu, nei tuoi giochi vorticosi e violenti, non ne hai mai avuto sentore. -
-         Caspita! Non lo so proprio, ma perché è una cosa grave? -
-         Grave? Gravissima é! Pensa tu, da quanti anni ci conosciamo e andiamo d’accordo? -
-         Un’eternità! Cara mia e non ho voglia nemmeno di ricordare, visto che tutto quello che ho combinato é andato a finire negli abissi del silenzio e dell’oblio! Dimmi, allora, cosa ti tormenta e , se posso, ti aiuto! -
-         Scilla era titubante, paurosa come quella fanciulla, ma aveva nella mente lo scenario, lo sapeva ormai a memoria, ne era terrorizzata anche se non lo dava a vedere.
-         Si fece coraggio, rilassandosi con l’intero corpo sinuoso e, fissando il suo amico, disse con voce quasi afona:
-         Sopra di noi costruiranno un ponte! -
-         Un ponte? E cosa è un ponte? -
-         Cariddi, ricordati che siamo nel  ventunesimo secolo  e che noi, ormai da centinaia di anni, apparteniamo alla nazione italica la quale ci ha reso  anche famosi, mentre adesso ci vogliono distruggere! -
-         Distruggere? E come faranno? Di certo non mi prendono, perchè io posso sprofondare come e quando voglio, anche in mari diversi da questo. Tu dovrai stare più attenta, ma puoi sempre inabissarti e trasferirti dove sono più ospitali! -
-         Eh! ti sembra facile! Quel ponte di cemento, ferro e acciaio che ci caleranno sopra, non ci permetterà di sopravvivere. La gente, tutti i popoli che ci conoscono, si dimenticherà di noi che diventeremo un sito, un puntino nello stivale dove butteranno milioni di metri cubi di mondezza, di ossido di carbonio, sì da non farci più respirare! E’ una disfatta naturale, l’ennesima degli uomini così detti civili. -
-         Ma cosa credono di fare con questo ponte? E quanto costerà? -
-         Credono, illudendosi, di creare un’altra meraviglia del mondo, secondo me inutile e dannosa agli stessi umani, senza considerare il cambiamento morfologico di questa terra!
-         Che disastro!. -
-         Ma come fai tu a dire queste cose? – sospirò leggero Cariddi.
-         Sappi Cariddi che, a parte le braccia, io ho tanti occhi e posso veder lontano come pochi altri! -
-         E cosa vedi allora?
-         Vedo che l’Italia ha questa mala voglia di cambiarsi fisicamente, come se non le piacesse più l’abito che madre-natura le ha confezionato, col passare dei millenni.
-         Se per questo, in tutto lo stivale, compresa la mia isola, di scempi ne hanno fatto sempre, a cominciare dal Nord, dove i ricchi hanno avvelenato e inquinato quella terra avita e prosperosa, mentre il Sud è stato infangato di ogni obbrobrietà umana, salvando e meno male il mare che ancora resiste! -
-         E’ proprio come dici tu ed io mi sto scervellando per trovare uno o centomila motivi validi
-         per non fare costruire quel ponte, che avrà un nome altisonante e pomposo, che getterà oblio su di noi e la nostra lunghissima storia. Sono disperata!
Dopo un attimo di pausa, comprensibile, Cariddi rispose:
-         Sai cosa possiamo tentare di fare? -
-         Dimmi, dimmi, che idea ti è venuta? -
-         Perchè non lo diciamo a Polifemo che chiami in adunata tutti i suoi ciclopi?
-         Per fare che cosa? Amico mio! -
-         Soltanto loro, con la forza e la brutalità che hanno, possono impedire quella costruzione! -
-         E come faranno?
-         In maniera molto naturale, come tante altre disgrazie della natura, volute e create dall’uomo, poco rispettoso anche di sé stesso. Di giorno gli operai, gli architetti e gli ingegneri lavoreranno. Di notte, e la notte è lunga, arriveranno migliaia di ciclopi che sfasceranno con il loro passaggio tutto quanto è stato costruito e così tutte le notti, fino alla fine di quel diabolico disegno. I ciclopi non li prenderanno mai e non sapranno da dove vengono e dove andranno, mai!. -
-         In quel momento l’Etna e lo Stromboli si lasciarono scappare un lungo cupo brontolio.
-         Scilla e Cariddi si abbracciarono in segno di intesa e il sipario s’abbassò lentamente e dolcemente.
-         Si udirono fragorosi applausi e il silenzio tornò a regnare.
Titolo originale autorale: Quelli del ponte (Favola tragi-comica dei giorni nostri)
QUESTO RACCONTO E' STATO PUBBLICATO SU ROSEBUD, giornalismo online con il titolo:

Il ponte di Messina? Meglio camminare sulle acque come…. Joan Lui. Unu contu