benvenuti

Questo blog è di Danila Oppio, colei che l'ha creato, e se ne è sempre presa cura, in qualità di webmaster.

lunedì 31 dicembre 2012

UN SALUTO



Finito
un altro calendario
chiamalo diario
viario
oppure calvario
straordinario
sempre vario
anche se serio
e utilitario

Altro anno finito
consumato
divorato
non sarai pentito
di altro cammino
superato
vissuto
forse sciupato.

E adesso?
nella nostra memoria
vita e morte di tanti
guerre sempre perdute
mai necessarie
dette importanti
suppliche ai santi
diavoli compresi

alluvioni
amori e delusioni
e tradimenti
senza parole
senza storia
neppure pentimenti.

Di tutto è successo
ed ora altra attesa
speranza vana
di vita ancora offesa
come quel bambino
nella savana
della sua esistenza
dove regna incurante
ed eterna
la nostra indifferenza

Gavino Puggioni
Inedita

Auguri
dicembre 2012


sabato 29 dicembre 2012

DUE ZERO UNO TRE


il vecchio
stanco e pieno di ferite
cede il passo al giovane
con la faccia dipinta di verde

gli si appresta il
“benvenuto”
-parola irreale/reale-

mezzanotte
le porte si aprono
lui entra con lampi ed echi
e rende muta la sofferenza:
il passato si sfalda
il futuro è sorriso di tempo
ma
ci sono storie diverse e
le allegorie di parole
sono luce riflessa
nello specchio dell'anima
che beve buio
fino al culmine del giorno
-incarnazione di desiderio-
che si allontana e ritorna
con rughe senza volto

da occhi
di pene accumulate
scorre rossa acqua salata
che corrode la pietra del tempo

Giovanni De Simone
Inedita

domenica 23 dicembre 2012

E' NATALE!

E MALGRADO  SU QUESTO BLOG NON SI ABBIA MOLTA VOGLIA DI FESTEGGIARE IL NATALE, A CAUSA DEI TANTI, TROPPI PROBLEMI CHE RIGUARDANO LA NOSTRA TERRA,  TENIAMO ANCORA ACCESA LA FIACCOLA DELLA SPERANZA! 


CHE QUESTO NATALE SIA PORTATORE 
DI PACE E SERENITA', GIOIA E AMORE
QUESTO E' L'AUGURIO CHE FACCIAMO
AI NOSTRI LETTORI E AL MONDO INTERO

CREDERE, NON CREDERE



Credo poco e da sempre
ai giochi dell'Uomo
ai suoi cattivi pensieri
sconosciuti
maldestri
bugiardi
senza senso
opportunisti
di maniera
costruiti per l'occasione
con le solite parole

false

Il mio pensiero
è dedicato
è occupato
dal viso di quei tanti bambini
tantissimi purtroppo!
che del Natale
non hanno presenza
né essenza

nulla

La loro festa
donarsi alla vita
ed io sono con loro
sempre
anche da solo

Gavino Puggioni
Inedita

sabato 22 dicembre 2012

GALLERIA D'ARTE: BOTERO - BIOGRAFIA


Il noto pittore e scultore colombiano dalle forme e dai corpi giganti nasce a Medellín il 19 aprile 1932 da una colta ed agiata famiglia cattolica. Da sempre affascinato e innamorato della Versilia, e di Pietrasanta in particolare, città che con i suoi laboratori ha collaborato a rendere grande l’artista nel mondo.Sin da piccolo entra subito in contatto con il mondo dell’arte barocca e rimane affascinato dalle illustrazioni della Divina Commedia di Gustav Doré.
A 12 anni inizia a frequentare la scuola per toreri sotto indicazione dello zio, ma dopo due anni decide di abbandonare gli studi per dedicarsi alla pittura. La sua prima pittura raffigurerà, infatti, un torero.
Già a 16 anni disegna per gli inserti del quotidiano più importante della sua città, “El Colombiano”.  Lo stesso anno espone per la prima volta nella sua città natale, mentre nel 1951 ha luogo la sua prima “personale” nella capitale colombiana, Bogotá.
Un anno dopo vince il secondo premio al IX Salone degli artisti colombiani e grazie al denaro guadagnato decide di intraprendere un viaggio di studio in Europa. Inizialmente si reca in Spagna, dove studia Francisco Goya e Tiziano, successivamente si recherà a Parigi, dove approfondirà i pittori dell’avanguardismo francese. Giungerà, infine, in Italia, dove rimarrà incuriosito dalle opere di Giotto e Mantegna e di diversi artisti senesi e toscani.Nel 1955 Botero decide di tornare a casa per sposarsi con la donna dalla quale divorzierà dopo 5 anni.
Dopo aver esposto in diverse zone della Colombia senza esiti positivi perché i suoi concittadini rifiutavano la sua arte favorendo, invece, l’avanguardismo francese, si reca in Messico, sperando di trovare qualcuno a cui possano interessare le sue creazioni.
In Messico, Botero scopre la tecnica della dilatazione dei corpi, che poi sarà il tratto centrale e distintivo di tutte le sue opere. Ma è nel 1957 a Washington che scoprirà l’espressionismo astratto, visibile nelle sue riproduzioni del “Niño de Vallecas” del Velázquez. Un anno dopo ottiene la cattedra di pittura all’Accademia d’arte di Bogotá e si aggiudica il primo premio al XI Salone degli artisti colombiani. Esporrà successivamente a Washington dove in un solo giorno vengono vendute tutte le sue creazioni.
Nominato alla Biennale colombiana, è costretto ad andarsene dal suo paese d’origine in povertà, a causa delle numerose critiche mosse contro di lui proprio dai suoi connazionali.
Botero cerca rifugio a Washington ma, sfortunatamente, la Galleria dove esponeva è costretta a chiudere ed il pittore si ritrova senza un posto dove andare, divorziato, e, soprattutto,  in serie difficoltà economiche.
La situazione sembra risollevarsi nel 1961, quando il Museum of Modern Art di New York decide di acquistare il suo “Monna Lisa all’età di dodici anni”, anche se poi la mostra che ne seguirà si rivelerà un fallimento totale. Botero si trasferisce a New York, dove studia e colleziona le opere di Pieter Paul Rubens, che poi donerà al museo a lui intitolato a Bogotá.
Nel 1964 si sposa per la seconda volta. Due anni dopo le sue opere sono esposte in Germania e al Milwaukee Art Center; esposizione giudicata molto positivamente da parte di critici ed esperti.
Successivamente, tutto il mondo sembra interessato all’artista colombiano, dall’Europa a New York, al suo stesso paese d’origine che prima lo aveva rinnegato. Nel ’69 espone anche a Parigi ed inizia un pellegrinaggio in tutto il mondo alla ricerca di ispirazione tra le città di Bogotá, New York e le capitali europee. Nel 1973 decide di stabilirsi definitivamente a Parigi, dove rimarrà fino all’83 dedicandosi quasi esclusivamente alla scultura.
Torna poi in Italia e compra una casa a Pietrasanta per essere più vicino alle cave di marmo.
E’ un periodo di grande fama e successo mondiale per l’artista, interrotto, però, dalla morte del terzo figlio, Pedro, a cui dedicherà molte opere, in seguito ad un incidente stradale.
Nello stesso incidente Botero perde l’ultima falange del dito mignolo della mano sinistra; proprio per questa ragione molte sue creazioni raffigurano mani enormi.
Nel 2007 a Pietrasanta vengono rubate alcune sue opere in bronzo per un valore di circa 4 milioni di euro, tra cui “Adamo”, “Il cane”, “Gatto codone”, “Donna con mano nei capelli”, “Ballerina vestita”, “Ballerina in movimento” e “Passero”. Solo nel maggio del 2008 verranno ritrovate due delle statue smarrite e saranno condannati alcuni dei responsabili.
Attualmente le famose opere del grande artista sono visibili in diverse città europee e mondiali; anche se la mostra di maggior rilievo fu quella del 1992 sugli Champs-Elysées. Proprio la città di Pietrasanta può vantare oggi di ospitare la mostra di uno degli artisti più conosciuti al mondo.
 CLICCANDO SULLA SCRITTA AZZURRA, POTRETE LEGGERE COME BOTERO HA FESTEGGIATOI SUOI 80 ANNI IN ITALIA

GALLERIA D'ARTE: FERNANDO BOTERO

PICNIK
BALLERINA ALLA BARRA
GIOCATORI DI CARTE
SALA DA PRANZO
IL BALLO

MASSACRO IN COLOMBIA
INCONTRO
UNA COPPIA

ANNA ACHMATOVA - BIOGRAFIA


Nathan Altman - ritratto di  Anna Achmatova
Anna Andreevna Gorenko nasce il 23 giugno 1889 a 
Bol’šòj Fontàn, un elegante suburbio di Odessa, terza di cinque figli.

La famiglia: il padre ingegnere meccanico di marina, si trasferisce prima nei sobborghi di Pietroburgo, a Pavlovsk, e poi a Càrskoe Selò.
A cinque anni parla perfettamente il francese, a dieci Anna supera una grave malattia, a undici scrive la sua prima poesia.
Nel 1903 comincia la storia sentimentale con il poeta Nikolàj Gumilëv, maggiore tre anni di lei ed ex allievo di un insegnante ginnasiale di Anna - Innokentij À nnenskij. Gumilëv è innamorato a tal punto da tentare il suicidio per superarne le resistenze.
Nel 1905 i genitori si separano; Anna si trasferisce a Kiev. Qui, nel 1907, termina il liceo e si iscrive alla facoltà di Legge. Nel frattempo compone e quando manifesta il suo desiderio di pubblicare il padre le suggerisce di scegliersi uno pseudonimo letterario; la scelta ricade sul nome della bisnonna materna, Achmàtova.
Nel 1910 Gumilëv sposa Anna, e l’anno seguente fonda con Gorodeckij lo “Cech Poetov”, la Corporazione dei Poeti, da cui prenderà vita il movimento Acmeista 
La prima poesia di Anna è datata 1900, la prima pubblicata (sulla rivista parigina “Sirus”, edita da Gumilëv) 1907. La prima raccolta di versi, “Sera” esce nel 1912.
Nello stesso anno viaggia a Parigi - dove conosce Amedeo Modigliani, che la ritrasse in numerosi disegni eseguiti a memoria di cui uno è conservato a S. Pietroburgo - in Italia: a Venezia, Genova, Padova, Bologna, Pisa e Firenze; Anna è in attesa del suo unico figlio, Lev , mentre Gumilë v è assente, impegnato in remoti viaggi di esplorazione in Etiopia.
La produzione poetica continua fervida negli anni seguenti: nel 1914 pubblica il secondo libro, “Rosario”; con esso ottiene una vastissima popolarità. Nel 1917 esce “Stormo Bianco”  la sua terza raccolta di poesie. L’anno seguente divorzia da Gumil ëv, partito volontario per il fronte; finisce un rapporto importante che segnerà per sempre la vita e la produzione della poetessa.
Dopo il divorzio, Anna lavora alla biblioteca dell’Istituto di Agronomia, e nel 1918 sposa il poeta e assirologo Vladimir Šilejko, uomo patologicamente geloso e possessivo; questa unione termina nel 1921, anno di pubblicazione di “Piantaggine” e, a breve distanza, “Proprio sul mare” e “Anno Domini” (1922).
Gumilëv, che nel frattempo si era risposato, viene accusato di aver preso parte ad un complotto sovversivo monarchico e viene fucilato il 25 agosto 1921.
L’Achmàtova era vista come ex-moglie di poeta controtivoluzionario; inoltre negli anni fra il 1917 ed il 1921 non si era espressa in alcun modo riguardo all’adesione alla Rivoluzione, pur scegliendo di non emigrare. Mentre la Rivoluzione avrebbe dovuto portare aria di rinnovamento nell’arte, un rinnovamento socialista, la produzione poetica achmatoviana rimane sostanzialmente la stessa. Anna si ritrova sola, in una Russia che non la condanna ufficialmente, ma comunque palesemente ostile in cui, fino al 1940 - anno di uscita della raccolta “Da sei libri” - non vengono più stampate o ristampate le sue opere:
Nel 1925 nasce una nuova infelice relazione con Nikolàj Punin, critico e studioso d’arte; la poetessa si trasferisce (a causa della crisi degli alloggi) alla casa della Fontanka a Leningrado, dove convive con lo studioso, la sua ex moglie e la figlia e Lev. La situazione familiare è innegabilmente difficile 
Si ha infatti un’interruzione dell’attività poetica, che si protrae fino alla fine degli anni trenta. Ed è in questi anni, alla vigilia dell’apertura dei campi staliniani e delle deportazioni che Anna riprende a poetare, dopo la separazione da Punin, avvenuta nel 1938. L’Achmàtova raccoglie i versi per un’antologia di poesie scritte fra il 1924 e il 1941, “Il giunco”  che nella realtà non uscirà mai: il 13 marzo 1938 suo figlio viene arrestato e condannato a morte - condanna poi convertita in deportazione - causa (presunta) il cognome del padre. Anna si reca, come molte madri russe, al carcere delle Croci tutti i giorni, per avere notizie di Lev. Da qui nasce il poemetto “Requiem” , che le migliori amiche provvidero a memorizzare, certe dell’intolleranza del governo a quel genere di lirica.
Alla vigilia della seconda guerra mondiale scrive “Nell’anno quaranta” . Nel 1941 incontra la poetessa Marina Cvetaeva- Il poemetto “Lungo tutta la Terra” risale a questo periodo. Nel 1941 la Germania invade la Russia. Stalin ricorre a tutti quei nomi che, da tempo in disgrazia, potevano tornare utili: la poetessa parla alla radio per riunire il popolo russo contro la minaccia hitleriana. Nel frattempo il nemico avanza; Anna viene evacuata, insieme con altri intellettuali, da Leningrado a Taskènt. Qui scrive “Luna allo zenit”. Il tema centrale della produzione poetica diviene la guerra, come “Il vento della guerra” . Compone anche “Elegie del Nord” (1942-43).
Nel 1944 l’Achmàtova torna a Leningrado, nella casa della Fontanka. La composizione “Poema senza eroe” si delinea nel 1942, ma la sua lavorazione continuerà fino al 1962. Nello stesso anno il figlio Lev viene liberato perché costretto ad arruolarsi nell’Armata Rossa; raggiunse la madre alla fine della guerra.
In questo periodo Anna riprende a pubblicare su diverse riviste. Lev verrà arrestato di nuovo nel 1949, e la risonanza di una breve relazione di Anna con il primo segretario dell’ambasciata inglese Isaiah Berlin (1945), resa pubblica dal giornalista Randolph Churchill (il figlio di Winston), insieme con l’arresto e l’esilio in Siberia di Punin e all’espulsione della poetessa dall’Unione degli scrittori Sovitici (risalgono a questo periodo le critiche Ž danoviane di pessimismo nevrotico, misticismo e culto per il passato, provocano in lei un periodo nero di isolamento, come è evidente in “Frantumi” 
Nel 1950, terrorizzata dal pensiero che il figlio potesse essere ucciso, scrive - su consiglio di amici - quindici liriche dedicate a Stalin. Lev fu infatti risparmiato - molto probabilmente grazie a questo intervento - e venne liberato tre anni dopo la morte del dittatore, quando l’incubo finì.
Nel 1964 la poetessa riceve il permesso di lasciare la Russia per venir insignita, in Sicilia, del premio “Etna - Taormina”. L’anno seguente presso l’università di Oxford riceve la laurea honoris causa. Le associazioni culturali russe la riabilitano come una dei massimi poeti sovietici del secolo; nel 1965 esce una nuova rccolta di poesie, “La corsa del tempo” che contiene fra l’altro le liriche degli ultimi anni e la prima parte del trittico “Poema senza eroe”.
L’ultima produzione di Anna comprende un centinaio di liriche, sparse in frammenti , e i cicli “La rosa di macchia fiorisce”  e “Un serto ai morti”.
Anna Achmàtova muore di una crisi cardiaca a Domodedovo (Mosca), già sofferente di cuore, il 5 maggio 1966.


ULTIMO BRINDISI

Dal film: assassinio allo specchio

Bevo a una casa distrutta,

alla mia vita sciagurata,
a solitudini vissute in due
e bevo anche a te:
all'inganno di labbra che tradirono,
al morto gelo dei tuoi occhi,
ad un mondo crudele e rozzo,
ad un Dio che non ci ha salvato.

Anna Achmatova



ANNA ACHMATOVA


IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI



La tomba del Foscolo in Santa Croce

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentil anni caduto.

La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.

Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch'io nel tuo porto quiete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta. 



ugo foscolo
Ritratto di Ugo Foscolo


venerdì 21 dicembre 2012

VERRA' LA MORTE E AVRA' I TUOI OCCHI


Verrà la morte e avrà i tuoi occhi -
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e anche il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

Cesare Pavese




giovedì 20 dicembre 2012

TUTTO HO PERDUTO


La roccia triste

Tutto ho perduto dell'infanzia
E non potrò mai più
Smemorarmi in un grido.

L' infanzia ho sotterrato
Nel fondo delle notti
E ora, spada invisibile,
Mi separa da tutto.

Di me rammento che esultavo amandoti,
Ed eccomi perduto
In infinito delle notti.

Disperazione che incessante aumenta
La vita non mi è più,
Arrestata in fondo alla gola,
Che una roccia di gridi


Giuseppe Ungaretti
da “Il dolore”



mercoledì 19 dicembre 2012

ECCO! SIAMO ARRIVATI!


TEMPI DURI PER SANTA KLAUS


 Ma dove? vi chiederete.
Da nessuna parte, siamo sempre qui, in questa nostra Italia che vuole partire, la si fa partire magari su binari sbagliati ma, santi e diavoli!, non arriva mai!

Un anno passato col governo nuovo e col parlamento vecchio, ministri nuovi, illustri professori e professionisti e parlamentari sempre vecchi, incollati ai loro cadreghini che ne han preso pure le forme, quelle intime, dal basso in alto.
Un anno passato con regioni allo sfascio politico, messe alla berlina ma sempre più prepotenti e quindi inutili, con regioni dalle casse sempre aperte, disponibili a mani ladrone, incollate ai denari pubblici per “divertissement” goderecci e personali  ma...perfettamente legali, seppure segrete!
Un anno passato sui ponti della speranza, rubata anche quella, trapassato sulle spalle di migliaia di lavoratrici e lavoratori onesti ridotti in miseri numeri da statistiche, vere o false, ma sempre più allarmanti, gente, ahimè!, che di questa vita non sa più cosa farsene, se ne lamenta, non se ne vergogna ma è inascoltata.
 
Ma ora arriva Natale e anche il suo Babbo, appesantito e non da regali!
Bisogna far festa, bisogna spendere, bisogna regalare, bisogna sorridere, ma a chi?
A chi non è più? a mio nonno? O ai miei e nostri bambini?, sì, certo!
O a questa maschera globale che sa di ipocrisia e proprio nel dodicesimo mese dell'anno? Meglio astenersene!, - Ma mi faccia il piacere! - direbbe chi già conoscete.
E dopo Natale, Capo d'anno e la Befana ci saranno altre feste, quelle non comandate, le elezioni, quelle importanti, quelle che fanno conoscere meglio l'Italia, quelle dove tutti festeggiano qualcosa di improbabile e non se ne vergognano. Ed io, comunque, non vorrei parteciparvi, a quelle feste del NULLA, perché tutto rimarrà come prima e, come prima, l'Italia sarà ancora e chi sa per quanto tempo col culo per terra, a leccarsi ferite incancrenite di cui nessun medico serio ha mai voluto occuparsi.

Ecco! Siamo arrivati ma dentro noi stessi, le nostre coscienze , per chiederci se dobbiamo continuare in questa guisa oppure innalzare paletti, dire no a chi non merita e sono tantissimi, e dire sì a chi merita.., sì, lo so, sono pochissimi, ma a questi bisogna rivolgersi, trovarli, nominarli e far si che lavorino nell'interesse di tutti, soprattutto dei giovani, già diplomati, laureati o “master-izzati” e già pronti per imboccare quella via che li porterà lontano, lontano dal proprio paese.
Purtroppo!
Anche la Befana è perplessa!!

 Gavino Puggioni




I PASTORI DEL NATALE CHE VIENE

Elaborazione grafica di Domenica Luise

<Ragazze, ma lo sentite quest’accidenti di freddo?> brontolò un vecchio montone alle sue mogli, <Sissignore, che freddo, che freddo> lo assecondarono le pecore belando in coro.
<Amore, ti preparo una minestrina bollente?>.
<Ma no, ma no, è meglio una bevuta e un sigaro, corro a prendere il vino dalla botte>.
<Che dici? Qua ci vuole un bel massaggio sulla nuca e ti rimetto al mondo, spogliati che vengo>.
<Ma perché non puoi dormire, tesoro mio? Cosa succede stanotte? Poi domattina non hai la forza di stare sulle zampe e lo sai quant’è rabbioso il tuo capoufficio>.
<Ma domattina è Natale, non si lavora>.
<Invece sono tutte storie per farti compatire, va bene che ormai sei abbastanza decrepito e da pensione>.
<Coi nostri governanti che ci spremono? Adesso, mogli mie, quando viene quella sanguisuga a chiedere i soldi che cosa gli diamo, un po’ di fieno? Gli dovrò consegnare stipendio e tredicesima>.
<Ma che fa, ce la danno anche quest’anno la tredicesima?>.
<E sennò con che cosa paghiamo le tasse e l’imu dell’ovile? E va bene, noi siamo pecore di speranza, forse fra duemila anni tutti questi problemi non ci saranno più>.
L’ariete controllò allo specchio grande dell’ingresso se le sue corna fossero abbastanza lucide o avessero bisogno di una ulteriore lisciata, poteva scegliere la preferita tra quelle mogli servizievoli, ma che pazienza ci voleva. Femmine, inferiori ai maschi da sempre e per sempre, deboli, lagnose, benché discrete donne di casa, ma quante storie per partorire, tutte che strillavano e soffiavano.
E com’erano gelose le une delle altre, una cosa inqualificabile, che ben dimostrava la modestia del loro cervello. Ancora gli andava bene perché non avevano inventato i telefonini, altrimenti non gli avrebbero dato più pace.
In fondo, molto in fondo, la sua vita non era poi così rosea, e doveva pure guardarsi dagli altri maschi rivali, che gli volevano togliere ora una ora l’altra moglie e aggregarla al proprio harem.
Gli avevano fatto slittare l’età pensionabile e non avrebbe confessato mai a nessuno quanto gli facessero male i piedi e le ginocchia per i reumatismi incalzanti. Mai dare segni di debolezza o gli avrebbero fatto il subentro.
<Io mi sono stufata di lavare panni di carta e stenderli su quel filo ad ogni Natale> affermò la lavandaia alzandosi impetuosamente dalle ginocchia sulle quali stava piegata, <ho un appuntamento>.
Dall’interno di una casetta di cartone venne una voce stridula: <Comportati bene, figlia, altrimenti resti zitella e siamo rovinati, Almeno pigliati uno che ha un lavoro sicuro>.
<Il lavoro sicuro è finito> rise la ragazza con una mano sul fianco e la cesta coi panni asciutti sull’altro, <loro dicono che sarebbe noioso e dobbiamo cambiare sempre e lavorare tanto per pagare il mutuo della catapecchia o l’affitto della catapecchia e comunque la catapecchia, ormai le banche pigliano troppi interessi e vogliono troppe garanzie e nessuno ha più una catapecchia decente>.
<Dove stai andando, figlia mia? Bada che gli uomini sono cacciatori> disse la voce della madre altrettanto rauca dalla casa di cartone, <Mi sono innamorata dell’incantato della stella> rispose lei lasciando la cesta sulla soglia, <ma non ho intenzione di andarci a letto, voglio cuocerlo bene prima o non mi sposa>. E la ragazza partì.
<Ho paura che pesca e pesca qua non abbocca niente come il solito> fece il pescatore sullo stagno di specchio circondato da pietruzze raccolte a mare nell’estate precedente. Il suo collega gli sorrise: <Tranquillo, anche stasera mangeremo verdura selvaggia, speriamo che sia rimasto un po’ d’olio e che il pane non sia troppo duro, mi stanno cadendo alcuni denti, sono vecchio, ma non posso andare in pensione>.
<Siamo tutti sulla stessa barca> considerò l’altro mentre l’onda li dondolava con una certa, impertinente soavità.
Intanto si mise a nevicare e la stella, dall’alto dei cieli, scivolò sulla cima di una capanna piuttosto malridotta, le mancava perfino una buona parte del tetto. La stella illuminò una coppia e un bambino che vagiva a braccia spalancate, ognuno vide perfettamente per quanto fosse lontano e fosse buio:
<È nato anche quest’anno> gridarono, belarono, ragliarono e muggirono tutti insieme, anche i pesci dello stagno piroettarono.
<Questa non me l’aspettavo> brontolò il mugnaio svegliando sua moglie che si era addormentata davanti alla televisione, per quanto non fosse stata ancora inventata nemmeno quella, <che fai, dormi, amore?> le disse strattonandola, <Quante volte ti devo ripetere di non chiamarmi così forte quando mi abbiocco? > gridò lei furibonda, <poi mi sento male come ora, ecco>.
<Ma Lui è nato anche quest’anno> fece il marito afferrando due pagnotte ancora calde da portare alla grotta come faceva regolarmente da quando l’avevano modellato così bello, era solo riuscito un po’ più grande degli altri, difatti nel presepio l’avevano soprannominato “Il gigante”.
<È nato in questo caos? Coi peccatori incalliti e mummificati, i poeti disprezzati, le mamme che hanno la depressione post partum e i politicanti scatenati, le escort e il bunga bunga?>.
<È nato anche stavolta> fece il mugnaio afferrando la pelliccia di visone e porgendogliela.
<Sì, vengo, ma non mi metto quella…mi vergogno di averla pretesa…dammi la vecchia mantella, l’ho appesa fuori dai piedi, in alto e non ci arrivo senza salire sulla sedia. Tu, invece, sei bello alto> lo lodò, l’uomo ringalluzzì e arrossì perfino.  La lavandaia, che stava scambiando un bacio passionale, ma non troppo per non dare luogo a procedere, con l’incantato della stella rizzò la testa:
<Hai sentito, forse, piangere un bambino? Lui deve essere nato un’altra volta. I pannolini si devono ancora stirare, vado, tu comincia a correre alla grotta> disse scappando. E pensava: <È nato, lo fa ogni anno, niente e nessuno lo può fermare>.

 <Come ti senti, cara?> chiese Giuseppe a Maria mentre le luci della stella suscitavano mille colori di qua e di là e il focherello che egli aveva acceso sembrava un termosifone gigantesco, tanto riscaldava e sebbene nemmeno i termosifoni fossero stati ancora inventati.
<Bene, come tutte le volte. Il Bambino non mi ha fatto più male di un raggio di luce che mi ha attraversata>.
<Guarda, arrivano i pastori, come ogni anno>.
<C’è lo zampognaro nuovo e anche un gelataio… con tutta questa neve> ridacchiò Maria.


Domenica Luise